Fiat-Chrysler, la vera risposta all’Italietta in vendita degli ultimi vent’anni

Pubblicato su ” Il Foglio” il 15-01-2014
al direttore-In quel pomeriggio del 13 marzo 2000 tutti pensavano che ormai era iniziato il percorso che avrebbe portato la famiglia Agnelli a cedere il Gruppo Fiat alla General Motors. In quel giorno, infatti il gruppo americano siglò un accordo con il quale acquistava il 20% della casa torinese dando in cambio il 5,1% delle proprie azioni. Chi scrive parlò di una vendita differita dello storico gruppo automobilistico visto che accanto allo scambio azionario furono fatte alcune joint-venture industriali sugli acquisti, sui motori e sui cambi. Insomma una azione sinergica a tutto campo per rendere graduale e indolore la cessione. Infatti nell’accordo fu introdotta una clausola put per cui, dopo due anni dall’accordo ed entro gli otto anni, la Fiat avrebbe potuto cedere il restante 80% del gruppo e la General Motors era obbligata a comprarla. Questa che appariva ed era una vendita differita ci fu più volte preannunciata in incontri privati da Enrico Cuccia che alla fine degli anni ’90 vedemmo molte volte avendo con lui un rapporto basato su di una reciproca simpatia sin da quando il fondatore di Mediobanca accolse il nostro invito e venne in audizione alla commissione bilancio della Camera nel 1985. Il fondatore di Mediobanca accennò più volte che le condizioni della Fiat erano tali che l’avvocato Agnelli l’avrebbe ceduta,anche se con dolore, a chiunque ne avesse fatto formale richiesta. L’accordo con la General Motors dopo 5 anni fu rotto dalla stessa General Motors che pagò complessivamente oltre 4 miliardi di euro pur di non essere obbligata a comprare la Fiat che da oltre un anno era guidata da Sergio Marchionne. Se abbiamo raccontato in pillole quanto avvenne a cavallo degli anni 2000 è solo per far ricordare a tutti in quali condizioni era la Fiat all’inizio del terzo millennio e quali erano state le decisioni della famiglia Agnelli. Dopo la crisi della Chrysler l’opportunità americana fortemente incentivata da Obama fu colta al volo da Marchionne, uno strano personaggio italo-canadese cupo e un pò sciatto nel vestire in contrasto con quella tradizione di “arbiter elegantiae” che fu di Gianni Agnelli, che aveva un’idea fissa e cioè che il Davide-Fiat sarebbe dovuta crescere sul piano internazionale per trattare da pari a pari con i Golia del settore automobilistico mondiale. Una opportunità quella offerta da Obama che Marchionne non poteva che cogliere visto, peraltro, che il mercato italiano e quello europeo erano in forte contrazione. La felice conclusione dell’acquisto totale della Chrysler pagato per oltre due terzi con i soldi della stessa azienda americana è stato un capolavoro finanziario. Un capolavoro possibile, però, grazie al rilancio industriale della Chrysler. E di questo va dato atto a Marchionne e anche ai sindacati americani. Molti si domandano quale sarà l’impatto di questa operazione sull’Italia. Va detto innanzitutto che senza questa operazione il gruppo torinese sarebbe stato venduto a chiunque avesse fatto un’offerta come ci spiegava Cuccia alla fine degli anni novanta, l’occupazione sarebbe crollata perché chi l’avesse acquistata avrebbe comprato innanzitutto la quota di mercato della Fiat che lentamente sarebbe stato appannaggio dei modelli dei nuovi padroni. Oggi è la Fiat ad essere padrona e per essa un azionista italiano che ha il 30% del gruppo, la famiglia Agnelli, una dinastia industriale cresciuta nell’intero novecento insieme all’Italia stabilendo con il paese una sorta di cordone ombelicale che resiste ancora oggi nonostante la moltitudine della quarta generazione. L’Italia probabilmente potrà nel tempo anche vedere una mancata crescita dell’occupazione negli stabilimenti Fiat rispetto ai livelli attuali ma quel che è certo è che l’occupazione sarà finalmente un dato certo e stabile perché la crescita della Chrysler fornirà lavoro alla nostra tradizione operaia, ingegneristica e nel design. La prospettiva di un aumento occupazionale sarà legata da un lato alle politiche industriali e del lavoro del governo e alla pace sindacale una volta deideologizzato il confronto come già fanno da tempo i sindacati tedeschi, ma ancor più al prosieguo di quel processo di internazionalizzazione attiva della Fiat la cui idea ha guidato in questi anni Sergio Marchionne. Tutto questo avverrà ovunque sia la sede legale e Marchionne, ma più ancora gli Agnelli, sanno che non potranno fare a meno della creatività italiana sul terreno della ricerca ingegneristica, del design e della capacità operaia. Vi sono 2 miliardi di cittadini del mondo che in tempi brevi si trasformeranno da lavoratori a basso costo in consumatori e mai come questa volta una azienda italiana che ballava sul baratro del fallimento sino a qualche anno fa potrà competere con i colossi mondiali del settore. In una Italietta in cui le politiche degli ultimi venti anni, all’unisono con il pensiero unico liberista, ha ritenuto un segno di modernità il lasciarsi comprare dal capitalismo internazionale, la vicenda Fiat-Chrysler è la vera risposta moderna di un paese che non vuole piegarsi ad essere semplicemente un mercato di consumo ed un produttore per conto terzi.

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