Dubbi sul Def e una domanda sul 10 per cento di italiani ricchi

Pubblicato su ” Il Foglio” l’11 aprile 2014
Al direttore-Il momento è difficile e ciascuno deve assumersi la propria responsabilità con chiarezza di intenti e di argomentazioni. Per chi come noi ritiene che a questo governo non vi siano al momento alternative, diventa essenziale contribuire ad evitare errori grossolani senza scivolare nel servo encomio, esempio di stupidità e di cortigianeria. In attesa di leggere nel dettaglio il documento di programmazione finanziaria, vanno subito dette alcune cose. Immaginare che le riforme istituzionali siano la premessa della ripresa economica come dice Renzi, è solo illusione o è una banale operazione di marketing per raccogliere consenso su riforme elettorali ed istituzionali che hanno il profilo di una chiara involuzione autoritaria. Non a caso, con queste riforme, si toglie in via definitiva agli italiani la libertà di scegliere i propri legislatori. Ma veniamo ai problemi delle famiglie e delle imprese. L’Italia riprenderà a crescere dopo quasi vent’anni di immobilismo se si avviano riforme proprie dell’economia, a cominciare dal mercato del lavoro, e recuperando una visione di politica industriale e finanziaria all’altezza delle sfide che ci porta la globalizzazione e la perversa finanziarizzazione dell’economia internazionale. Bene, allora, il decreto legge sul mercato del lavoro, in particolare se lo si etichetta come un provvedimento sperimentale che libera domanda ed offerta del lavoro da quelle anchilosi penalizzanti degli ultimi due decenni. Per quanto riguarda il documento di programmazione finanziaria diciamo subito che non ci siamo perchè non c’è neanche l’ombra di quel “voltar pagina” annunciato con vivacità frettolosa, e per certi aspetti pressapochista, del nostro presidente del Consiglio. Questa non è una nostra opinione ma la cruda realtà che dimostrano alcuni numeri che ci vengono proposti dallo stesso governo. Se nonostante quella velocità di decisioni (una velocità che spesso non lascia pensare e che eleva ad obiettivo più una data che non un contenuto) dopo tre anni l’Italia crescerebbe solo dell’1,6% con una progressione da lumaca (0,8%, 1,3%, 1,6%) è segno che siamo ancora lontanissimi da una start-up della nostra economia capace di metterci sullo stesso livello dei paesi europei più avanzati con il rischio di lasciarci, forse, ancora al di sotto della media dell’Eurozona. La stessa riduzione del rapporto debito-Pil al 129,8% (dato tutto da verificare) è più frutto di questa leggera crescita del Pil che non di una contestuale riduzione del valore assoluto del debito accumulato che continuerà ad aumentare. Due dati macroscopici negativi che non riescono a nascondere l’insolito affanno del governo nel dare ad alcune misure coperture credibili  e permanenti. Forse siamo davvero diventati vecchi arnesi ma non riusciamo, ad esempio, a convincerci che possa essere una copertura vera ed ammissibile quella legata al maggior gettito IVA per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Non solo è un “una tantum” ma quel gettito è già incamerato nel complessivo gettito delle entrate che dovrà sostenere il mantenimento del deficit al 2,6% del Pil. Alla stessa maniera è una entrata “una tantum” l’aumento del prelievo fiscale sulla rivalutazione delle partecipazioni bancarie in Bankitalia mentre alcune spese dovrebbero essere permanenti come, per l’appunto, gli 80 euro in busta paga per i redditi più bassi. È possibile, certo, utilizzare entrate “una tantum” per coprire spese correnti sol che si chiarisca che gli 80 euro l’anno prossimo non ci saranno più o che, eventualmente, verranno coperti da altre misure negli anni successivi. Spiace dirlo, ma a prima vista vediamo emergere liturgie antiche e nuovi pressapochismi frutti di quella velocità diventata fretta in una compagine governativa che nella stragrande maggioranza dei suoi componenti ha pochissima esperienza. Niente di tragico, naturalmente, se in corso d’opera queste ed altre sciocchezzuole potranno essere corrette con l’aiuto del Parlamento, Senato compreso. Ciò che sfugge a questo governo, come a quelli precedenti, è il tema vero che da anni non si vuole affrontare e cioè l’aggressione al debito pubblico sempre più elemento centrale per la crescita, con una operazione di finanza straordinaria capace ad un tempo di: a) ridurre lo stock del debito accumulato; b) fare emergere risparmi consistenti, permanenti e progressivi dall’unico bacino di spesa corrente, quella per gli interessi, dal quale poter attingere risorse per attivare una start-up dell’economia in linea con le migliori democrazie europee; c)avere il tempo necessario per riformare le strutture dello Stato che possano favorire la crescita ma giammai crearla. Questa operazione sarà possibile senza una patrimoniale se si affronta un discorso serio con la ricchezza nazionale la cui posta è la salvezza del paese e quindi della stessa ricchezza posseduta da una piccola parte degli italiani, circa il 10% della popolazione. Immaginare, invece, di dare in pasto ad una opinione pubblica arrabbiata come nuove ricchezza da penalizzare le pensioni oltre i 2500 euro lordi o quelle di reversibilità delle vedove o ancora gli stipendi dei pubblici dipendenti di 70mila euro l’anno (3500 euro al mese) per calmarne i bollori, rappresenterebbe solo una truffa che mal si addice alle speranze che la giovinezza di Renzi e dei suoi compagni di strada hanno suscitato nel paese.

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