pubblicato il giorno 8 Aprile 2014 su Il Sole24Ore
Alla vigilia delle elezioni europee il dibattito si incentra tra chi racconta ad un popolo sofferente l’Eden che ci attende se usciamo dall’euro e quanti, invece più responsabilmente, predicano una Europa diversa. Un’Europa, cioè, non più prigioniera di un eccesso di regolamentazione ma innanzitutto orientata ad avere l’obiettivo di una più forte crescita economica unitamente a quello della stabilità finanziaria. Negli ultimi 20 anni l’attenzione è stata posta più sul risanamento delle finanze pubbliche che sulla crescita. In Italia i governi hanno tentato di incidere più sul numeratore, il deficit, che non sul denominatore, il Pil. E i guasti sono sotto gli occhi di tutti: debito alle stelle, crescita bloccata, impoverimento del Paese. Detto questo, però, bisogna riempire di contenuti questa “diversità” predicata per una nuova Europa comunitaria. Sul piano politico, su quello economico e su quello finanziario. Iniziamo da quest’ultimo che rappresenta, forse, il perno principale per riavviare un diverso processo nelle politiche europee e partiamo dagli accordi che si stanno perfezionando per giungere all’unione bancaria nell’Eurozona. È stato deciso di affidare la vigilanza sulle maggiori banche nazionali alla Banca Centrale Europea ed è in corso di approvazione da parte del consiglio e del parlamento l’intesa raggiunta sulle crisi creditizie delle banche dell’Eurozona. Tanto per parlar chiaro, sarà la BCE, dal prossimo autunno il nuovo organo di vigilanza, a decidere se una banca in crisi finanziaria deve essere salvata o lasciata fallire. In caso di fallimento di una banca le perdite ricadono su azionisti, obbligazionisti e sui depositanti oltre i 100 mila euro. Se le risorse non bastassero sarà lo Stato nazionale a coprire la parte mancante e solo in ultimo potrà intervenire, se necessario, un fondo europeo di liquidazione a ciò istituito e che a regime avrà risorse per 55 miliardi di euro. Al di là di tanti difetti (chi decide, e cioè la BCE e la commissione europea, che una banca deve fallire, poi non interviene sin dall’inizio con il proprio fondo di garanzia mentre colpisce addirittura obbligazionisti e depositanti) questa intesa è un tentativo di far partire quella unione bancaria che per essere tale deve presupporre uguali criteri e sistemi di valutazione sia nella vigilanza che nella gestione delle crisi creditizie. Se questo è vero avendo una moneta unica in 18 stati membri, non si capisce, però, perchè si resista nel dare alla BCE tutti i poteri che ha ogni banca centrale, a cominciare dal controllo della massa monetaria. Le banche centrali degli Stati membri dell’Eurozona che avevano anche la potestà di battere moneta come tutte le altre banche centrali del mondo, comprese quelle dell’Europa comunitaria non aderenti all’euro, hanno ceduto la propria sovranità alla BCE. Ma se la BCE di questa sovranità monetaria non ne recepisce una parte, quella del controllo della massa monetaria, o non gliela fanno recepire, si crea uno squilibrio che ha effetti devastanti sul piano economico. E ci spieghiamo. Con la globalizzazione, inesistente all’epoca degli accordi di Maastricht, la politica monetaria è diventata un’arma micidiale sul terreno del commercio mondiale. Infatti svalutazioni monetarie competitive sono in atto ormai da alcuni anni sia negli Stati Uniti sia nei paesi orientali. Basti pensare che quando l’euro cominciò a circolare nel 2002 aveva, rispetto al dollaro, un valore di 0.89 centesimi mentre oggi un euro vale un dollaro e 37 centesimi. Il dollaro, cioè, si è svalutato del 53% e così la sterlina del 35% e così lo yen del 18%. In soldoni questo significa che le esportazioni dell’eurozona sono pesantemente penalizzate mentre quelle americane, inglesi e giapponesi sono fortemente favorite. Mario Draghi con i suoi annunci di misure non convenzionali (1000 miliardi di acquisti di titoli dei debiti sovrani) va nella direzione giusta contrastando disinflazione e svalutazione competitive di altri paesi. La cosa ancora più grave è che la globalizzazione è anche priva di un ordine monetario dopo la fine, nel 1971, degli accordi di Bretton Woods. Nella stessa Europa comunitaria non c’è più neanche quel piccolo, ma efficiente, ordine monetario rappresentato dallo SME che metteva un argine alle svalutazioni competitive. Ed allora il governo italiano nel suo semestre di presidenza europea, deve porre al centro del dibattito innanzitutto due questioni: 1) la sovranità monetaria degli Stati membri, vista la globalizzazione inesistente all’epoca degli accordi di Maastricht, deve essere accettata dalla BCE in tutte le sue funzioni; 2) ripristinare un nuovo sistema monetario europeo tra l’euro e le altre monete comunitarie non aderenti alla moneta unica con l’obiettivo di riportare sul tavolo del G20 il tema di un nuovo ordine monetario mondiale coerente con la globalizzazione e con i criteri del WTO (world trade organization) per evitare che risorgano barriere doganali invisibili legate alle svalutazioni competitive con politiche monetarie espansive. Tema difficile e complesso, ma non si può più tollerare un’Europa che disciplina, regolamenta e vigila ma che non paga e non difende i propri Stati membri nel mondo globalizzato. Questa è una delle diversità da introdurre ed è fondamentale per dare concretezza a quel cambiamento che si chiede nelle politiche europee in linea con i cambiamenti mondiali, quali la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia.
Be the first to comment on "Bce con pieni poteri e nuovo ordine monetario sono le priorità"