Conformismo e riforme

pubblicato il 24 giugno 2014 sul Corriere della Sera

Caro direttore, si resta sconcertati dal conformismo dilagante nel giudizio sulle due principali riforme in discussione in Parlamento, quella sul Senato e quella sulla legge elettorale. Questo conformismo si accompagna ad un pressapochismo culturale sul terreno politico e costituzionale, entrambi tipici di una società in preda a smarrimento dopo vent’anni di crisi economica, istituzionale e sociale. Un’onda anomala di conformismo postula sempre un progetto salvifico,fosse anche solo apparente, e l’attesa messianica di una guida ferma e sicura, scandita da tappe cronologicamente definite. Se si riflette “sine ira et studio” la situazione italiana di questi ultimi anni, mutatis mutandis, è molto simile a quella che l’Italia visse agli inizi degli anni ’20 durante il governo Facta quando disoccupazione ed incertezza regnavano sovrane. Certo oggi, grazie a Dio, mancano le macerie di una guerra mondiale, ma quella nei mercati finanziari globali non è meno devastante delle guerre tradizionali fatta salva, naturalmente, la tutela della vita. Questa similitudine tra ciò che viviamo oggi e ciò che vissero i nostri padri e i nostri nonni aggiunge angoscia ad angoscia in quanti abbiano un minimo di visione politica e non hanno paura di dire ciò che pensano. Sul piano delle riforme costituzionali la classe dirigente,a cominciare da quella politica, dovrebbe decidere quale sistema istituzionale vorrebbe avere per il paese. Se vogliamo avere ancora una democrazia parlamentare, la maggioranza di governo non può che formarsi nel parlamento stesso come avviene in tutti i paesi del mondo che scelgono quel modello. In quel caso il sistema elettorale può essere un proporzionale con un solo elemento maggioritario (la soglia di accesso o le circoscrizioni piccole) possibilmente con preferenza o un sistema maggioritario come quello avuto sinora. Se, al contrario, si vuole che il cittadino scelga lui nell’urna il capo dell’esecutivo, bisogna varare un sistema presidenziale, preferibilmente all’americana, con una serie di pesi e contrappesi a cominciare da un parlamento eletto proporzionalmente con una soglia di accesso che eviti la frantumazione. Tertium non datur. Solo per fare un esempio, se si votasse con il sistema europeo avremmo un parlamento con soli sei partiti che dovrebbero trovare un equilibrio di governo ed oggi con un partito al 41% non sarebbe difficile. Purtroppo stiamo andando in una direzione opposta e per comprenderlo basta fare una banale simulazione come se i testi in discussione fossero già legge dello Stato. Con il sistema europeo il premio di maggioranza previsto dall’italicum (15%) darebbe al partito democratico la maggioranza assoluta nell’unica Camera rimasta (il Senato sarebbe un club di lord senza i lord) e i deputati,eletti senza voto di preferenza,sarebbero scelti dal segretario a propria immagine e somiglianza, cioè nominati. Come verrebbe definito un sistema elettorale che dà ad una minoranza del paese guidata con polso di ferro il potere assoluto compreso quello di nominare i deputati? Io so cosa sarebbe, la riemersione di un sistema autoritario con un vestito diverso dal passato, privo di orbace ma capace di aggregare intorno a se pezzi di poteri finanziari e di altro genere in un quadro politico sempre più soffocante e con un parlamento preoccupato solo di obbedire ai capi che lo hanno nominato. I popolari di 90 anni fa fecero l’errore di favorire la nascita di quel tragico autoritarismo ed i popolari di oggi, quelli veri, stanno commettendo lo stesso errore in un’orgia conformistica piena di paure che richiederebbe davvero un nuovo appello ai liberi e ai forti rivolto questa volta non solo ai cattolici.

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