Achtung arriva l’Eba

articolo pubblicato il 28 ottobre 2014 su Il Foglio Quotidiano

La risibile lettera della commissione Barroso al governo italiano sulla legge di stabilità e l’attesa spasmodica per i risultati degli stress-test della BCE sulle banche dell’Eurozona hanno distolto l’attenzione dei mass-media e della stessa politica su di una questione fondamentale come quella rappresentata dalla unione bancaria.Questo processo di unificazione del governo bancario sotto la BCE, infatti, pone problemi non di poco conto agli Stati membri e allo stesso sistema bancario sul terreno politico e su quello finanziario. Partiamo dagli effetti politici. Da tempo tutti dicono che l’Europa deve cambiare sottraendo il suo destino dall’opprimente peso di una tecnocrazia afflitta da una bulimia regolatoria che rende sempre di più l’aria irrespirabile in tutta la comunità. Quanti difendono l’euro contro l’ipotesi goliardica di uscire dalla moneta unica chiedono giustamente che la politica, quella alta, riprenda la guida di una Europa che da alcuni anni affanna sempre più. Una unione politica più forte, dunque, con le relative istituzioni democratiche, a cominciare dal parlamento europeo, rafforzate nei propri compiti e nei propri strumenti in grado di guidare essa la tecnocrazia di Bruxelles e traghettare la Comunità verso orizzonti migliori sul terreno economico e democratico. Questa dunque la priorità degli Stati membri e che lo stesso Matteo Renzi ha sostenuto con forza e tenacia sin dall’inizio del suo mandato. Tutto bene allora? Niente affatto perché l’unità politica dell’Europa è ancora molto lontana, anzi siamo ancora al “caro amico” perché appesantiti da alcuni anni da una recessione economica che piega gli Stati nazionali su stessi dividendo, inoltre, l’Europa tra i falchi dell’austerità e gli apostoli di una crescita a debito. Ebbene mentre l’unione politica cerca un nuovo percorso verso una direzione virtuosa, i governi nazionali danno, con la indifferenza degli incompetenti e il silenzio complice dei competenti, il via libera alla unione bancaria che non solo affida la vigilanza alla BCE e alla nuova autorità bancaria di controllo (EBA,european banking autority) ma disciplina l’eventuale fallimento delle banche in un modo originale. Si lascia, infatti, alla BCE il potere della decisione ma mette l’onere finanziario del fallimento sulle spalle, prima degli azionisti, obbligazionisti e dei depositanti oltre i 100mila euro, poi degli Stati nazionali e solo alla fine viene chiamato in causa il fondo interbancario europeo che a regime avrebbe una dote di appena 55miliardi di euro. Per dirla con parole povere il sistema finanziario della Eurozona viene messo nelle mani esclusive di una autorità indipendente che non risponde a nessuno (è poi davvero così?!?!) in un quadro politico sfilacciato e con un parlamento che si contenta di audire una volta al mese il governatore della BCE alla commissione affari economici e monetari. Mentre il potere politico, dunque, langue e si appanna il potere finanziario si autorganizza diventando così il vero potere centrale dell’Europa comunitaria. Oggi c’è Mario Draghi che sta dando dimostrazione di saggezza e di tenuta, ma domani? Per fare un solo esempio degli effetti che questo sistema può determinare senza che la politica possa metterci mano, pensiamo ai risultati degli stress test decisi in piena autonomia dalla BCE con la fanfara al seguito. Al di là della stranezza per cui si danno i risultati sui bilanci del 2013 senza incorporare le patrimonializzazioni fatte nel 2014 salvo a recuperarle su indicazioni della banca d’Italia subito dopo aver compromesso la reputazione di alcune banche con un intempestivo e parziale comunicato stampa, chi metterà mano alla tasca per la ricapitalizzazione se non la finanza internazionale? Quel capitalismo finanziario cioè che trae risorse dai mercati deregolamentati prosciugando così l’economia reale e che per chiudere il cerchio del potere deve controllare anche il sistema bancario. I primi segnali inquietanti già ci sono e sono diversi, dal 5% di Unicredit del fondo Blakstone alla presenza dei fondi Black Rock e York capital management rispettivamente in Intesa-San Paolo e nel Monte dei Paschi di Siena sempre con poco più del 5%oltre ad una miriade di fondi minori. Non è questo, invece, lo scenario nel sistema bancario francese e tedesco nei quali gioca un ruolo fondamentale il capitale pubblico. Una politica seria ed accorta, dunque, non può non vedere i rischi di questo squilibrio di potere tra istituzioni politiche e il sistema finanziario. Le prime destrutturate e frastagliate e il secondo compatto e riunito sotto un solo comando. Ma tant’è. Il dibattito è tutto preso dalla piazza della CGIL e dalla Leopolda o dai giusti problemi delle unioni civili mentre l’Italia si impoverisce sempre di più con una legge di stabilità che, secondo le stime dello stesso governo, farà crescere il paese di uno striminzito 1,4% ma solo nel 2018 e con una disoccupazione che a quell’epoca sarà ancora del 10%. Ed è proprio la convinzione che l’Italia non riesce ad avere una prospettiva di crescita seria da quasi 20 anni ad aver spinto la BCE a dare quegli intempestivi dati sulle nostre banche facendo, tra le altre cose, guadagnare un po’ di quattrini alla finanza borsistica che ne aveva davvero bisogno.

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