Più che queste riforme frettolose, meglio il presidenzialismo

articolo pubblicato il 12 novembre 2014 su Il Foglio Quotidiano

L’improvvisa accelerazione di Matteo Renzi sulla riforma elettorale con richieste ultimative a Forza Italia devono trovare una spiegazione credibile. Cosa che finora non è stata fatta al punto da rendere, al contrario, legittima e credibile ogni lettura maliziosa. È forse la convinzione che ormai è definitiva la decisione di Giorgio Napolitano di lasciare il colle tra poche settimane la causa di questa improvvisa e forte accelerazione sulla riforma elettorale? Se così fosse, e molti indizi lo lasciano credere, il sospetto che Renzi voglia andare di corsa alle elezioni anticipate si fa sempre più forte visto che l’ostacolo primo per questa scelta era proprio  Napolitano dal momento che più volte aveva dichiarato che non avrebbe mai più firmato uno scioglimento anticipato delle Camere. D’altro canto questo improvviso pressing sugli alleati e su Berlusconi è in netta antitesi con la pronunciata volontà del nostro presidente del consiglio di arrivare sino al 2018 con questo governo e questa maggioranza. Una contraddizione, dunque, che salta agli occhi di tutti e che evoca il ricordo non bello della famosa espressione “Enrico stai sereno” riferito a Letta che dopo qualche giorno dovette lasciare palazzo Chigi proprio per far posto al Matteo il terribile. Se dovesse emergere che la più volte dichiarata volontà di mantenere governo e maggioranza sino al 2018 è un’altra bugia, la credibilità del premier rischia davvero di andare in cavalleria. Già traballa un po’ per quel vizio “dell’annuncite”, come lui stesso lo ha definito, che nell’immaginario collettivo evoca un vecchio proverbio meridionale “promette certo e manca sicuro” che rappresenta il peggio del peggio per un politico. Lo diciamo senza alcuna ombra di polemica perché mai come questa volta saggezza vorrebbe che il governo avesse davvero lunga vita viste le drammatiche condizioni economiche e sociali che affliggono ogni giorno di più il nostro paese con l’aggiunta di una segreta speranza e cioè che l’esperienza possa correggere le orgogliose certezze dello stesso governo vizio tipico di chi sa poco ed in maniera confusa. Absit iniuria verbis! Tornando alla riforma elettorale, dunque, l’improvvisa fretta che agita il premier e i suoi più stretti collaboratori deve trovare una spiegazione che non può essere quella che soavemente ci dice ogni giorno il ministro Boschi e cioè che essa è data proprio dal rispetto verso Giorgio Napolitano che all’epoca della sua seconda elezione la legò proprio all’avvio delle riforme. Non suoni offesa per nessuno, ma ripetere cose senza pensarci su espone le persone al rischio mortale di parlare tanto per parlare. E ad un ministro della Repubblica questo, purtroppo, non è concesso. Il ministro Boschi, infatti, dimentica che al momento del secondo insediamento di Napolitano (20 aprile 2013) la Corte non si era ancora espressa sul cosiddetto “porcellum” la cui udienza pubblica fu tenuta il 4 dicembre 2013 e la sentenza venne pubblicata nel mese di gennaio 2014. L’accenno alle riforme di Napolitano, dunque, non erano rivolte alla legge elettorale ma ad un riordino istituzionale terminato il quale, poi, certamente si sarebbe dovuto metter mano anche ad una riforma del sistema elettorale. E qui veniamo ad altra questione fondamentale per il futuro dell’Italia in attesa di avere dai vertici del PD una spiegazione ad uso e consumo degli adulti di questa improvvisa accelerazione sulla legge elettorale visto che dovremmo andare a votare solo nel 2018 (ipse dixit!). Nonostante gli anni, noi abbiamo fiducia in Matteo Renzi e nella sua voglia di cambiare in meglio il paese e pertanto vogliamo mettere sul suo tavolo una questione chiara e per certi aspetti rivoluzionaria. Il nostro giudizio sulla riforma del Senato e sull’Italicum come è noto è un giudizio pessimo per le ragioni più volte scritte e descritte e per tale motivo vorremmo fare insieme a tutte le forze politiche ma in particolare con Renzi e l’intero PD un ragionamento diverso e forse più coraggioso. Dalle riforme approvate in prima lettura dalle camere esce fuori una democrazia parlamentare pasticciata visto e considerato che i meccanismi introdotti producono autoritarismi nuovi e più sofisticati al di la delle volontà di tutti e di ciascuno. Una democrazia parlamentare, insomma, “farisaica” evangelicamente parlando, bella di fuori e marcia di dentro. E questo, a rifletterci bene, forse è il prodotto del tempo che viviamo. Una democrazia parlamentare per essere tale presuppone un sistema politico fatto di partiti a loro volta a conduzione collegiale e con forte selezione democratica della classe dirigente capace di far crescere più di un solo leader. Due qualità, come è fin troppo noto, da venti anni smarrite. Ed allora invece di azzannarci sulle cause che lasciamo volentieri agli opinionisti e agli storici, prendiamone atto con laicità e facciamo di necessità virtù come si suol dire. Dal momento che non esistono più i protagonisti e le condizioni per una democrazia parlamentare sana ed efficiente, si passi ad un sistema presidenziale all’americana coniugando così la governabilità garantita da un presidente eletto direttamente con il contrappeso politico della rappresentanza di un parlamento con due camere ridotte nel numero dei suoi componenti. Come si sa noi siamo da sempre parlamentaristi ma essendo ancor prima democratici-cristiani privilegiamo una democrazia sostanziale piuttosto che le sue forme che devono poter essere adeguate alla evoluzione della società. Per dirla sino in fondo ad una democrazia parlamentare di nome ma non di fatto preferiamo per i nostri figli e nipoti una democrazia presidenziale con tutti i pesi e contrappesi. Ci riflettano le forze politiche e i grandi pensatori di questo nostro  bel paese che merita, dopo tanti anni di follie e di partiti personali, un riassetto del nostro sistema istituzionale stabile e democraticamente sicuro. Il tempo come ha detto Renzi c’è tutto visto che andremo a votare solo nel 2018. Almeno sino a prova contraria.

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