Articolo pubblicato su ” Il Foglio” il 19-11-2014
Al direttore-
Il nuovo approdo del maggiore partito italiano è dunque il partito della nazione. Dopo il PDS, i DS, l’Ulivo e dall’altra parte Asinello, Margherita e poi tutti insieme nel PD, ecco rispuntare il logo del nuovo partito di Renzi. Ma il partito della nazione è l’ultimo logo di un percorso ventennale o è qualcosa di diverso? E se è qualcosa di diverso in cosa si differenzia? Il cammino dei vecchi comunisti da un lato e della sinistra democristiana con una spremutina di laici dall’altra, fu un percorso di due formazioni politiche che, messa in soffitta la propria cultura di riferimento, cercarono disperatamente un nuovo profilo politico. Di qui, se vi ricordate, la terza via di D’Alema che portò a Firenze tutti i leader socialisti, laburisti e democratici senza sortire alcun effetto perchè, tranne gli italiani, tutti avevano già un proprio profilo che in Europa si identificava con la cultura socialista. Dopo aver percorso, dunque, una strada deserta di cultura, di passioni e di emozioni, i due tronconi, quello post-comunista e quello della sinistra democristiana e liberale, si fusero “a freddo”, come più volte è stato detto, nel partito democratico. Sin dall’inizio siamo stati tra i pochi che lo hanno ritenuto un ogm, cioè un soggetto politico geneticamente mutato. Senza alcuna irriverenza, una sorta di “pecora Dolly”, vivo ma non vitale. L’arrivo del ciclone Renzi ha dato un colpo di acceleratore al processo “mutante” ed oggi il PD è qualcosa di profondamente diverso da ciò che pensavano di costruire i padri fondatori. Questa diversità, una volta consolidatasi con la vittoria di Renzi alla segreteria del partito e poi con il suo trasferimento a Palazzo Chigi, sta per essere trasferita anche nel nome per evitare equivoci e dare così un taglio netto con il passato. Ed ecco allora il partito della nazione nonostante l’ingresso nel partito socialista europeo con una decisione spavalda di Renzi che non fu mai assunta dagli eredi del PCI. Siamo, cioè, alla svestizione radicale di ciò che fu per la conquista totale del potere. Anche nel terzo millennio tale conquista ha bisogno di spavalderia, di cinismo e di incantesimo, in particolare se la conquista deve avere ritmi rossiniani tali da non lasciare respiro e tempo per pensare ai propri avversari, interni ed esterni. Una volta il termine “partito della nazione” veniva adottato dai grandi partiti di massa che per la loro dimensione popolare erano lo specchio del paese. Non fu un caso che il termine venne usato sia dalla DC che dal PCI ma entrambi non rinunciarono mai al proprio profilo identitario. Oggi quel profilo identitario in Italia è scomparso già da vent’anni, anzi molto spesso l’identità è stata criminalizzata come un vecchio residuo bellico del novecento, quasi che, con la caduta del muro di Berlino, si fossero dissolte, insieme a quella comunista, anche tutte le altre culture politiche. Questo resettare ogni cultura politica solo perchè incapaci di riconoscere il fallimento del solo comunismo in nome del quale milioni di persone avevano combattuto battaglie anche ideali, ha dato origine ad un ventennio ricco di genericismo, di mediocrità, qualche volta “bullista”, e di videocrazia. In economia questo ventennio è stato sostanzialmente prono alla cultura liberista che ha allevato quel mostro del capitalismo finanziario fonte dell’attuale crisi dell’economia reale, delle crescenti diseguaglianze sociali nell’intero occidente e della formazione di elite forti di immense ricchezze che costituiscono, dentro e fuori dell’Europa, un potere sempre più egemone. Il partito della nazione, di fatto, sembra essere tutto questo messo insieme. Privo sempre più di ogni riferimento culturale, attenuazione sino alla scomparsa di ogni forma di democrazia interna con la messa in soffitta del partito degli iscritti annegato nella kermesse delle primarie nelle quali vige quel voto di preferenza che si vuole evitare nelle elezioni politiche, silenzio assordante sui guasti del capitalismo finanziario e naturalmente sulle strategie per limitarne il potere devastante, la forte personalizzazione del partito e del governo, sono solo gli aspetti più chiari di quella mutazione genetica di un partito che sembra non essere più nè socialista nè continuatore della tradizione della sinistra democristiana. Molti dicono con buona ragione che oggi non c’è nulla all’opposizione di Renzi, del suo nuovo partito e del suo governo. Sbagliano perchè contro questa mutazione genetica del PD e del governo che guida, c’è una realtà di un paese che pure ha visto in Renzi una nuova e forse ultima speranza ma che oggi è in decomposizione sociale, economica e territoriale. Come sempre capita, però, ciò che è clamoroso, rischia di evaporare rapidamente. E il vuoto non sarebbe una soluzione.
Be the first to comment on "La mutazione genetica della sinistra che si è dimenticata da dove viene"