Il vero disastro ambientale è la giustizia: carcere preventivo e legge Severino

articolo pubblicato il 25 novembre su Il Foglio Quotidiano

La vita in Italia diventa sempre più difficile. Recessione e povertà, riduzione degli occupati e dei consumi finanche alimentari, ghettizzazione delle grandi periferie urbane e un progressivo dissesto idrogeologico sono un quadro complessivo di sfarinamento del paese. Di tutto questo disastro ne parleremo in altra occasione. Oggi vogliamo ragionare sulla giustizia i cui malanni aggiungono ed aggravano la situazione descritta. Un universo mondo fatto di lentezze, di inadeguatezze strutturali e funzionali  e dove campeggiano spesso protagonismi che producono ferite sanguinanti non solo a persone e a famiglie ma anche alla percezione che l’intero paese ha della nostra giustizia, una percezione drammatica che alterna timore e sfiducia. Partiamo da alcuni fatti di cronaca che attengono alla cosiddetta carcerazione preventiva di cui ha parlato sinanche il Papa. Ci riferiamo ai casi di Silvio Scaglia, di Alfredo Romeo e di Francesco Gaetano Caltagirone Bellavista. Tre imprenditori diversi ma tre storie egualmente tragiche che rappresentano la punta di un iceberg di sofferenze e di ingiustizie. Tre uomini mantenuti in carcere per mesi ingiustamente dal momento che poi nel processo sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Ed allora vorremmo chiedere all’associazione magistrati se davvero bisogna ricorrere così spesso alla carcerazione preventiva infliggendo mortificazioni e sofferenze senza sapere se davvero una persona sia colpevole. Davvero, cioè,  le indagini non si possono fare senza incarcerare preventivamente gli indagati? Per evitare pressioni improprie tese a patteggiare o a confessare, perchè non limitarla ai domiciliari stretti per quei pochi giorni necessari a ritirare il passaporto, fare perquisizioni ed eventuali misure interdittive? Naturalmente da queste domande sono esclusi i reati di sangue, quelli colti in flagranza e quelli della criminalità organizzata. Chi difende la indipendenza della magistratura inquirente deve saper difendere nel paese anche altri valori di gran lunga maggiori della prima quali la libertà e la reputazione delle persone. Vorremmo ragionare, senza alcuna polemica, con tutti e tre poteri indicati da Tocqueville per dire loro che un potere diventa autorevole  ed accettabile quando si pone esso stesso dei limiti rispetto  ai valori fondanti di una civiltà  moderna. E lo diciamo anche al parlamento che nel suo declino ventennale si è fatto dettare spesso norme liberticide o di segno contrario. Un esempio è l’ultimo caso di cronaca quello di Salvatore Mancuso che essendo stato rinviato a giudizio per ostacolo alla vigilanza si è dovuto dimettere dal consiglio di amministrazione dell’Enel nel quale era stato nominato dal ministero del Tesoro. Ci sono migliaia di Mancuso, imprenditori, professionisti autorevoli e perbene, che sono permanentemente sotto la spada di Damocle di un rinvio a giudizio che poi nei processi nel 50% dei casi si dimostra fallace ma per il quale hanno dovuto  lasciare qualche anno prima il proprio ruolo nella guida di società private o pubbliche. E perché quelli solo sospettati di aver sbagliato devono lasciare il proprio ruolo mentre chi alla fine della vicenda risulta di aver sbagliato come il magistrato inquirente conserva appieno le proprie funzioni? Parliamo dell’esercizio di una funzione inquirente che se si caratterizza molte volte per errori che colpiscono valori fondamentali (reputazione e libertà) non dovrebbe essere più consentita a chi l’ha esercitata destinando la persona a funzioni diverse. Dispiace che la famosa legge Severino porti il nome di una donna di cultura e di alta professionalità. In uno Stato di diritto l’elettorato passivo va tolto solo dalla autorità giudiziaria  perché è un diritto costituzionalmente protetto e lo è stato per 60 anni della vita repubblicana. Se dopo un processo penale l’autorità giudiziaria non dà l’interdizione dai pubblici uffici, perché si toglie ad una persona il diritto all’elettorato passivo che risiede nelle mani solo dei partiti che le propongono e dei cittadini che le votano? Quando ancora deputati discutemmo di ineleggibilità, per spiegare la follia di quelle proposte presentammo un emendamento che dichiarava altresì ineleggibili quanti avevano chiesto o disposto misure cautelari per 7 volte su persone risultate poi innocenti. La legge si fermò. È più grave non aver denunciato un finanziamento elettorale alle Camere o una violazione per sette volte dei diritti dell’uomo così come descritti nella carta universale dell’ONU? In una stagione ormai lontana erano i partiti a non candidare persone sotto processo e prima ancora dei partiti erano i politici coinvolti in vicende giudiziarie a chiamarsi fuori anche dagli impegni di partito. Il senso del nostro appello di oggi ai tre poteri (l’esecutivo, il legislativo e quello giudiziario) è quello  di ripristinare ciascuno nel proprio ambito il loro primato e la loro indipendenza, entrambi possibili solo se si recupera quella autorevolezza perduta che poggia, però, sulle spalle dei propri limiti e della propria responsabilità e coltivata da quel buon senso anch’esso smarrito. Se questo non dovesse accadere la società italiana si avvia più rapidamente di quanto si immagini ad una implosione drammatica e ad una fuga di massa di quanti sono in condizione di farla, giovani o anziani che siano.

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