Come sbagliammo in medio oriente e quale guerra unitaria c’è ora da fare

articolo pubblicato il 14 gennaio 2015 su Il Foglio Quotidiano

L’attacco terroristico di matrice islamica che ha annientato la redazione del giornale satirico parigino Charlie Hebdo ha shoccato il cuore democratico dell’Europa e del mondo che ha reagito con l’imponente e orgogliosa manifestazione popolare  di Parigi. Ma la paura di massa resterà a lungo. La condanna morale, politica e religiosa non può che essere totale e generale come lo fu per l’11 settembre del 2001. Ma non basta condannare. Nè per la politica nè per la religione. Abbiamo bisogno di altro. Abbiamo  bisogno di mettere in moto una task force internazionale di intelligence capace non solo di prevenire nuovi attacchi terroristici ma di colpire in qualunque modo il cuore strategico del radicalismo islamico. Deve essere un impegno costante e totalizzante con la forza di tutta la tecnologia più moderna spesso utilizzata in modo ridicolo quando si intercettano capi di Stato occidentali o leader politici o peggio ancora  per fini industriali ed energetici a tutela di ricchezze nazionali. L’Europa su questo terreno può essere determinante per indirizzare nella direzione strategicamente giusta la grande forza americana che spesso si è mossa come un elefante in una cristalleria. Per mettere a punto, però, una strategia vincente contro questo fanatismo politico religioso e terrorista c’è bisogno innanzitutto di capire dove l’occidente ha sbagliato e perché ha sbagliato. Partiamo da una pillola di storia recente, l’invasione a metà del 1990 del Kuwait da parte delle truppe di Saddam Hussein. L’occidente e una parte del mondo arabo mise in moto una operazione militare che fu definita una operazione di polizia internazionale che rapidamente respinse nei propri confini le truppe irachene. L’allora presidente americano, Bush senior, voleva continuare quella operazione militare invadendo l’Iraq ma fu fermato da tre grandi leader europei, Khol, Mitterand ed Andreotti, che spiegarono, in particolare quest’ultimo, che la eliminazione di Saddam Hussein (peraltro armato e finanziato dagli americani contro gli iraniani di Komeini) avrebbe messo in fibrillazione l’intera area mediorientale con un poderoso effetto domino. E Bush si fermò. In quell’epoca gli italiani erano guardati con sospetto dalla intelligence americana perché troppo filo araba e l’episodio dell’Achille Lauro con l’intesa Craxi-Andreotti-Mubarak non fu mai dimenticata dagli amici della Cia che ebbero un certo ruolo nella successiva destabilizzazione del sistema politico italiano. Ma questa è un’altra storia. Di quella politica italiana, colpevole di essere troppo filoaraba è stata criticata anche in questi giorni da autorevoli giornalisti a nostro giudizio un po’  troppo “americani”. Dopo quella stagione e dopo le centinaia di migliaia di morti che l’occidente non seppe fermare nel territorio della vecchia Yugoslavia, quella prudente politica italiana ed europea fu abbandonata sotto la spinta americana. E così dopo l’errore della guerra in Afganistan, ad uno ad uno furono eliminati Gheddafi, Saddam Hussein, Mubarak messi decenni addietro alla guida dei propri paesi proprio dell’intelligence americana e in Siria furono sostenuti gli avversari di Assad figlio con il risultato che è sotto gli occhi di tutti. L’unica voce contraria fu quella di Berlusconi per dirla con chiarezza. Quella politica “goliardica” produsse  una destabilizzazione statuale di una intera area mediorientale e nordafricana che favori il dilagare del fanatismo islamista che si è impadronito di una lunga fascia di territorio che va dalla Nigeria, nella quale si consumano orrori come quelli del gruppo  Boko Haram, sino all’Iraq passando per l’Egitto, lo Yemen, l’Afganistan e la Siria. Appunto quel che  Khol, Andreotti e Mitterand avevano nel 1991 spiegato a Bush senior in un’epoca in cui in Europa la politica guidava ancora i processi e gli eventi internazionali. Ciò che diciamo è solo un richiamo affinché una politica lungimirante e una offensiva diplomatica accompagni la fermezza e lo sforzo delle intelligence internazionali nel colpire al cuore la dirigenza islamista, jihadista e terroristica. In questo sforzo vanno inclusi gli Stati arabi senza consentire loro alcuna ambiguità. Un occidente forte e coeso, infatti, tornerebbe ad essere una sponda importante per quegli Stati arabi guidati, purtroppo, ancora da sistemi autoritari e che in questi anni, con i tanti voltafaccia occidentali descritti, hanno finito per lasciare sempre di più campo libero al radicalismo islamico nella illusione di difendere se stessi. E qui va detto subito un’altra cosa per evitare equivoci. Tutto ciò che abbiamo detto sinora non ha generato il radicalismo islamico ma certamente ne ha consentito l’espansione con il reclutamento di crescenti masse popolari nell’area mediorientale e nordafricana. Il reclutamento di militanti estremisti da parte del radicalismo islamico anche nei paesi occidentali è l’altra faccia di questo processo diffusivo del radicalismo islamico. È vero che non tutti i mussulmani sono terroristi (gli atti eroici di alcuni mussulmani anche nell’episodio di Parigi sono noti), ma è altrettanto vero che tutti i terroristi sono mussulmani, tutti giovani  e spesso di nazionalità occidentali come i francesi che hanno trucidato la redazione di Charlie o americani come quelli che colpirono a morte la maratona di Boston, o europei come i tanti inglesi francesi ed anche italiani che si sono trasferiti nel mondo arabo al servizio di una ideologia distruttiva e liberticida. Perchè questo reclutamento trova terreno così facile nei paesi occidentali? E qui la parola passa al versante culturale. Il radicalismo islamico è un movimento politico che ha una sua visione liberticida e maschilista, retriva e medioevale della società che cortocircuitandosi con il fanatismo religioso di una minoranza si dà una identità  che miscela una presunta spiritualità con una tradizione tribale diventando così  mallevatrice di violenza, di autoritarismo, di ignoranza e di povertà. La esclusione e la crescente marginalizzazione nelle nostre aree metropolitane di masse giovanili, la scomparsa progressiva in tanti paesi dell’occidente di una identità politica o religiosa travolte entrambe dall’egemonia di un capitalismo finanziario che fa della ricchezza e del profitto irragionevoli il nuovo agnello d’oro  fonte di disuguaglianze intollerabili sono gli elementi di fondo che rendono quella gioventù più fragile e preda facile di nuove terrificanti identità che riempiono quei vuoti  materiali e spirituali che l’occidente ha creato. Sappiamo che questo è un discorso difficile, ma ciò che diciamo, piaccia o no, è un problema di casa nostra, ed è figlio di una nostra cultura appannata. Non si vive come si sa di solo pane e quando la identità moderna spesso si limita al possesso materiale di cose e di denaro, nel momento in cui questi mancano qualunque altra identità, fosse anche la più terribile, ha un potere di attrazione incontenibile in particolare verso i giovani. A questo recupero di identità devono concorrere tutte le religioni, in particolare quelle monoteiste, che devono mettere da parte le differenze dottrinali per scatenare una offensiva culturale per cui chi uccide in nome del suo Dio deve essere scomunicato e posto alla gogna del sentimento religioso popolare mondiale. Papa Francesco lo ha già iniziato ma c’è bisogno che l’ebraismo, i leader religiosi dell’Islam, l’intera cristianità e le religioni induiste e buddiste scendano unitariamente in campo per una battaglia di civiltà che ha  come posta in palio il valore della vita e della pace. Chi non dovesse rispondere a quest’appello unitario finirebbe per scivolare inevitabilmente nel campo di Agramante con tutte le conseguenze politiche, commerciali e finanziarie che ne dovrebbero conseguire. Illusi quanti pensano che questa battaglia di civiltà si possa vincere con una sola ricetta, quella repressiva. La guerra, come giustamente è stata definito l’attacco terroristico di Parigi, si vincerà attivando, in una unica convergente strategia, azioni di intelligence e repressive, religiose, politiche, sociali, culturali ed economiche capaci di togliere al radicalismo islamico quell’alimento fatto di esclusione, di miseria e di perdita di identità che gli ha reso facile fare ciò che non gli riusciva venti anni fa quando pure esistevano atti terroristici feroci ma non ne configuravano quel profilo terribile di una guerra totale contro tutte le civiltà in evoluzione e contro le libertà dei popoli reclutando sinanche figli legittimi di un occidente che all’epoca era ancora per tutti una grande speranza.

Be the first to comment on "Come sbagliammo in medio oriente e quale guerra unitaria c’è ora da fare"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*