Ormai Napoli sembra Beirut. Bisogna reagire

pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno mercoledì 26 marzo 2014

Lo sgretolamento delle istituzioni locali e lo sfarinamento del tessuto sociale di Napoli ogni giorno che passa è sempre più un film dell’orrore. Un consiglio comunale in preda al caos che travolge una persona seria e perbene come il professor Raimondo Pasquino, tirato a forza qualche anno fa ad un impegno per dare una mano alla città, è forse l’aspetto più pulcinellesco di questo sgretolamento istituzionale che non fa certamente ridere e offende finanche la tradizione culturale di Pulcinella. Un consiglio dove sembra vigere un’unica regola, quella della piccola convenienza personale da incassare ora e subito e che, nei fatti, non rappresenta più la città, nè le sue speranze ormai al lumicino, e men che meno il suo dolore e i suoi bisogni. Le ultime polemiche tra nuovi e vecchi assessori al patrimonio e tra la Romeo Gestioni e il Comune dimostra a quale livello è giunta la città. E non ci riferiamo alla forma educata del contrasto nè sul merito dei risultati fallimentari della Napoli servizi che sono, peraltro, sotto gli occhi di tutti. Lo scadimento dell’azione amministrativa sta nel fatto di aver ritenuto che nell’amministrazione comunale di Napoli vi fossero le competenze necessarie per amministrare abitazioni in cui vivono 150 mila persone, una popolazione da capoluogo di provincia nelle regioni del nord. Questa scelta, peraltro, non è stata neanche una scelta politica. Se lo fosse stata avrebbe imposto per tempo una lunga preparazione ad un compito che richiede competenze e professionalità diverse e complementari. La scelta di affidare alla “povera” Napoli servizi l’ingente patrimonio residenziale fu, infatti, una scelta di risulta perchè l’amministrazione, pur conoscendo la scadenza del contratto con Romeo, da un lato non si attrezzò per farla in “house”, come si dice in gergo tecnico, e dall’altro non ha bandito per tempo una gara come hanno fatto tutte le grandi città metropolitane. È questo il punto vero della crisi dell’amministrazione, quello di rincorrere i problemi mano a mano che si presentano e senza una radicata cultura di governo. Si amministra al grido velleitario “la società civile alla riscossa” offendendo la società civile e l’istituzione comunale. La vicenda Romeo, al di là di ogni cosa, dimostra anche il vizio antico di una città che non ha mai perdonato ai propri figli il successo e quando, per caso, questo viene raggiunto si apre una gara a gettare nella polvere i fortunati protagonisti. Se Sparta piange Atene non ride. Il consiglio regionale nella sua perenne frantumazione partitica è un altro esempio di scadimento politico e culturale nel quale vige la stessa regola, quella della convenienza personale, piccola e quotidiana. Noi non generalizziamo, naturalmente, conoscendo uomini e cose, ma il severo giudizio dell’opinione pubblica è sul contesto politico e istituzionale degradato e degradante dove l’uso improprio dei fondi dei gruppi, al di là degli aspetti penali che possono anche non esserci, testimonia una sciatteria politica che non ha neanche la forza di procurare indignazione ma solo disgusto per la miseria dei comportamenti. Ma in città ognuno ci mette il suo, per rendere più grave la situazione. Anche la nostra procura della Repubblica che dovrebbe conoscere gli effetti mediatici devastanti di una indagine quando, ancorchè all’inizio, viene data in pasto all’opinione pubblica e ad un’informazione affamata “di notizie impressionanti”. L’esempio del presidente Caldoro è l’ultimo in ordine di tempo. Chi, come noi, per 15 anni ha avuto verifiche di legalità senza batter ciglio come si conviene ad un uomo di Stato che conserva come cimelio di una stagione sciagurata il motorino di sua figlia sequestrato come profitto di reato, ha il dovere di richiamare ad una diversa riservatezza e responsabilità l’autorità inquirente come si conviene ad un potere che ha la forza di togliere libertà e reputazione ai cittadini di ogni ceto lasciando spesso ferite ingiuste ed inguaribili. Ci rendiamo conto che una nostra denuncia lascia il tempo che trova e che dovremmo passare a qualche proposta. L’unica cosa che oggi, forse, può trarre la città dal pantano in cui si trova è l’iniziativa di un gruppo di parlamentari di diversa estrazione politica capaci di riunirsi in un comitato di emergenza capace di affrontare le grandi questioni di Napoli dando forza e dignità alle istituzioni locali e senza alcuna timidezza nel pensare che ciascuno possa confondersi con l’altro. Così facemmo in un tempo antico. Facemmo certamente anche errori ma Napoli sapeva di essere governata. Potremmo fare l’elenco delle cose fatte sul terreno dello sviluppo, del trasporto su gomma e su ferro, sulla ricerca, sull’università e su tanti altri settori. Ricordando quel tempo non vogliamo fare sterili paragoni ma solo dare un contributo di metodo a quanti oggi hanno l’onere e l’onore di essere parlamentare della Repubblica e che comunque rappresentano la punta più alta della politica. Per quanto ci riguarda, e con le forze che ci restano, saremo sempre disponibili con tanti altri amici anch’essi di ogni estrazione politica, a dialogare anche vivacemente pur di fare uscire la città dallo stallo drammatico in cui si trova. Cari parlamentari, sfogliate ogni mattina i quotidiani locali e avrete la sensazione di leggere di Beirut, di Damasco, di Gaza e di tante altre realtà miserabili e sofferenti. Leggete ed indignatevi per trovare la forza di agire prima che sia davvero troppo tardi.

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