Se trattativa con la mafia ci fu chiedetelo a sinistra e giudici

Invece di porci il problema del perché le mafie ogni giorno che passa aumentano la propria ricchezza ed il proprio potere, da tempo siamo tutti occupati a capire se nel 1992, epoca delle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio ( Falcone e Borsellino) vi sia stata una trattativa mafia- Stato e chi fossero i protagonisti. Accertarlo, naturalmente è cosa utile a condizione che non si prendano per i fondelli gli italiani e che si abbia netta la convinzione che ciò che accadde nel 1992 era strettamente legato a quanto avveniva sul piano politico in quel tempo. Detto questo torniamo alla scuola elementare e poniamoci una piccola e banale domanda: per fare una trattativa bisogna essere almeno in due ed uno dei due deve poter dare all’altro qualcosa che l’altro chiede. Cosa chiedeva la mafia allo Stato secondo la tesi di quanti sostengono l’esistenza di questa trattativa? La mafia chiedeva innanzitutto l’allentamento del carcere duro e alcuni sconti di pena, richieste che governo e Parlamento non potevano soddisfare  tanto che, quando fu fatto l’indulto di tre anni nel 2006, furono esclusi, tra gli altri, tutti  i reati di mafia.  All’epoca di cui si parla, giugno-luglio 1992, l’intero arco delle forze politiche, tranne il Pci di Violante, l’Msi e la Lega Nord erano sotto botta per le iniziative della procura di Milano sui finanziamenti illeciti ai partiti e quindi in preda ad una debolezza progressiva incapace di fargli svolgere qualsiasi ruolo. Il governo Amato aveva un ministro dell’Interno Nicola Mancino impaurito nel fare qualunque movimento visto che, come è noto, lui era fra i pochi che faceva la campagna elettorale senza neanche una lira ma la maldicenza l’avrebbe potuto colpire alle spalle inventandosi chissà che cosa. E c’era, infine, il ministro della Giustizia, Claudio Martelli, che le leggende metropolitane prima lo avevano indicato come interlocutore di ambienti mafiosi alle elezioni del 1987 e poi, agli inizi degli anni novanta, al centro del mirino mafioso. Tutto ciò per dire che governo e parlamento, eccezion fatta per Violante e il suo partito, non erano in condizioni neanche di fare promesse a distanza perché stavano per essere disciolti ( le camere si sciolsero, infatti, alla fine del 1993 e il governo Amato fu sostituito nella primavera del ’93 da quello di Ciampi). Questa nostra analisi trova, poi, conferma proprio nelle parole di Vito Ciancimino che nell’estate del ‘92 chiede di parlare a Violante. Anzi, contrariamente a quanto aveva fatto con la commissione antimafia guidata da Gerardo Chiaromonte, l’ex sindaco di Palermo si dichiara disponibile ad andare nella commissione antimafia guidata da Violante, l’unico politico ritenuto da Don Vito un possibile interlocutore. Vedremo perché. Ma torniamo a quanto dicevamo prima e cioè che  governo e parlamento nell’estate del ’92 non avevano la forza ed il potere di essere interlocutori affidabili per la mafia. Restavano, dunque, gli altri poteri dello Stato per una eventuale trattativa e cioè  le forze dell’ordine, polizia e carabinieri innanzitutto, i servizi segreti e alcuni ambienti della magistratura inquirente. Polizia e carabinieri e gli stessi servizi segreti possono essere strumenti da utilizzare in un senso o nell’altro, ma certo non hanno nè avevano alcun potere per soddisfare le richieste della criminalità organizzata. Gli unici che avevano nelle mani il potere di fare qualcosa, ad esempio attivare le indagini, l’azione penale,  archiviarle o  proporre l’ingresso nei programmi di protezione dei mafiosi con tutti i relativi benefit a cominciare dalla libertà e da una nuova identità, erano alcuni magistrati inquirenti. Essi però avevano bisogno, diciamo, del sostegno, proprio per non dire della complicità, della struttura del Ministero dell’interno che aveva, per legge, l’obbligo di costituire quella commissione che accettava o non accettava l’ingresso del mafioso o del camorrista nel programma di protezione. Sin qui, dunque nel nostro ragionamento basato sui fatti, abbiamo individuato:a) i potenziali interlocutori ( chiediamo scusa a ciascuno ma stiamo facendo solo un ragionamento) b)  il cuore delle richieste della mafia peraltro già contenute nel famoso documento anonimo dei primi di luglio del 1992 inviato a tutte le autorità e lasciato agli atti del Senato. In aggiunta i capi della mafia avevano offerto al nuovo corso politico da tutti ritenuto a quell’epoca incarnato da Luciano Violante un “ cadeau” di qualità, la cattura di Totò Riina.Sin qui il ragionamento non fa una grinza. Il fatto che Claudio Martelli abbia ritenuto quasi un atto di insubordinazione i contatti tra il generale Mori e il capitano de Donno con Vito Ciancimino fa quasi ridere senza per questo mancare di rispetto all’ex delfino di Craxi. Ma Polizia e Carabinieri e Guardia di Finanza non devono tentare di agganciare contatti per disarticolare le organizzazioni criminali piccole o grandi che siano? Così fece anche Gianni de Gennaro ed il Prefetto Sica quando ricevettero in Italia clandestinamente Totuccio Contorno, noto mafioso e braccio destro di Stefano Bontade ucciso dai corleonesi di Totò Riina. La cosa venne fuori nel ’90 se il ricordo non ci tradisce e Claudio Martelli era Vicepresidente del consiglio dei ministri e non chiese a nessuno chi aveva autorizzato Sica e de Gennaro in compiti che, al momento, noi riteniamo legittimi perché tesi  a scardinare la cosca di Corleone. Ed allora perché a de Gennaro nessuno fa alcuna domanda e Mori va sotto processo?. Questo fantasma della commissione antimafia dovrebbe tentare di rispondere a questa e anche ad altre domande. Se l’arrivo di Totuccio Contorno coincise con una morìa dei corleonesi, l’iniziativa di Mori e de Donno si concluse con la disponibilità di  Vito Ciancimino a parlare davanti alla commissione antimafia presieduta da Luciano Violante, come si evince dalla sua lettera del 29/10/1992. Fatto sta che poco prima di essere convocato Vito Ciancimino fu arrestato. Faremmo peccato se pensassimo che l’improvviso arresto di Ciancimino alla vigilia della convocazione in commissione antimafia avvenne per non farlo parlare? E continuiamo a far peccato se restiamo di sasso a scoprire che Ciancimino non fu più convocato dalla commissione di Violante perché detenuto, mentre non ci risulta che vi siano norme ostative sul punto perché la commissione agisce con i poteri dell’autorità giudiziaria? Siccome siamo peccatori noi lo pensiamo e lo colleghiamo ai possibili interlocutori di una trattativa tra Stato e mafia così come li abbiamo descritti prima. Noi non riteniamo che vi sia stata una trattativa tra mafia e Stato, anche se ci colpisce che tra il ’93 e il 2005 oltre 3000 mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti furono rimessi in libertà con nuove identità. Ma se la trattativa ci fu, e lo diciamo per quelli che lo sostengono,  una cosa è certa:  quelli che abbiamo indicato e non altri potevano avere il profilo degli interlocutori, di coloro cioè che possono dare a qualcuno qualcosa. E questi interlocutori avevano paura che Ciancimino parlasse come invece era nella sua intenzione espressa chiaramente nella lettera inviata nell’ottobre del 1992.  Sentire oggi come testimone il figlio ci sembra quasi una barzelletta.

TESTO DELLA LETTERA DI V. CIANCIMINO AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

La Commissione Parlamentare Antimafia, prima versione, senza mai ascoltarmi, nonostante da me sollecitata sin dal 1970, mi ha condannato “irrevocabilmente” e le sue “sentenze” sono diventate la “prova” delle mie presunte colpe, davanti alla pubblica opinione e alla Magistratura.

Il 27 luglio 1990 mi misi a disposizione della Commissione Antimafia su richiesta del suo Presidente On. Chiaromonte, per essere ascoltato.

Chiesi però che l’audizione avvenisse pubblicamente ed in diretta televisiva, non per fare spettacolo, ma perché volevo che l’opinione pubblica potesse giudicarmi direttamente e non per interposta persona, cioè per il tramite dei giornalisti a volte imprecisi, spesso sintetici e superficiali e quasi sempre obbedienti al sistema politico – finanziario interessato non alla verità ma alla difesa di certe posizioni.

Non avendo ottenuto la diretta televisiva, ritenni di dovere rinunziare all’audizione.

Continuo a ripetere che sarebbe giusto offrire alla pubblica opinione la possibilità di un giudizio non mediato ma oggi, dopo le clamorose iniziative giudiziarie della settimana scorsa, non ne faccio – della diretta televisiva – una “condicio sine qua non”.

Lascio alla Commissione Antimafia la valutazione del problema.

Il “delitto Lima” non può essere liquidato con ipotesi semplicistiche sul suo movente.

L’omicidio dell’On. Lima è di quelli che vanno oltre la persona della vittima e puntano in alto, un avvertimento come si suol dire.

Sono stato, per molti anni, testimone e in parte protagonista di un certo contesto politico.

Sono convinto che questo delitto faccia parte di un disegno più vasto.

Un disegno che potrebbe spiegare altre cose, molte altre cose.

Ancora oggi sono, pertanto, a disposizione di codesta Commissione Antimafia se vorrà ascoltarmi.

Palermo, 26 ottobre 1992 – VITO CIANCIMINO

Articolo pubblicato su “Libero” il 10-04-2010

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