Pubblicato su ” Il Foglio” il 29-08-2012
Al direttore:
Sembra di essere tornati ai tempi dei guelfi e ghibellini. Un’indagine della procura di Palermo che casualmente ha intercettato il presidente della Repubblica in una conversazione con il senatore Nicola Mancino senza che ne disponesse immediatamente la distruzione del nastro in base ad un’interpretazione ardita sulle prerogative presidenziali, ha innescato uno scontro furibondo tra una stragrande maggioranza guelfa e una minoranza ghibellina. Motivo del contendere, al di là della registrazione definita dalla stessa procura di Palermo irrilevante ai fini penali, è l’iniziativa assunta dal Quirinale con il suo ricorso alla Corte Costituzionale per un possibile conflitto di attribuzione tra la magistratura inquirente e le prerogative del presidente della Repubblica. Una questione di non poco conto, naturalmente, che nello spazio di pochi giorni ha diviso l’opinione pubblica, i partiti e la stampa ciascuno con il suo corredo di esperti e di uomini e donne di cultura. In un paese serio la questione avrebbe meritato uno o due articoli sui maggiori quotidiani aspettando con compostezza la decisione della suprema corte evitando di scivolare verso tifoserie agitate che né la magistratura e men che meno la presidenza della Repubblica meritano. Passeranno i secoli ma l’Italia, nel profondo della sua pancia, rimarrà quella descritta da Dante. Questa volta, però, non si tratta di un pessimo costume antico che di tanto in tanto riemerge con tutto il suo carico di faziosità emotiva nella storia del nostro bel paese. Questa volta sta accadendo qualcosa di più e di diverso. Tutta la polemica, infatti, si è concentrata su di una questione, le prerogative presidenziali probabilmente violate dalla procura di Palermo, la cui importanza certo non ci sfugge, ma resta pur sempre marginale rispetto a qualcosa di più importante e di più vitale. Lo scontro tutto giuridico tra Presidenza della Repubblica e procura di Palermo ha, infatti, oscurato del tutto il drammatico interrogativo se la trattativa tra Stato e mafia c’è stata davvero. Se non risultasse offensivo per tutti, diremmo che è stato messo in opera un grande depistaggio trasferendo in maniera morbosa l’attenzione della pubblica opinione dal fatto centrale di un’indagine al suo corollario giuridico. Sarà colpa della nostra natura di guelfi e ghibellini ma sta di fatto che della trattativa nessuno più ne parla e meno che meno c’è qualcuno che tenta di fare un’inchiesta più approfondita. Per parte nostra aspetteremo con serenità la pronuncia della Corte trattandosi di materia che non incide sull’indagine ma sull’equilibrio dei poteri nel nostro ordinamento costituzionale e per tanto ha una valenza che non consente né faziosità né tifoserie contrapposte. Intanto, però, ripetiamo con forza che la trattativa Stato-mafia c’è stata, che essa non si è limitata alla revoca dei 350 41bis del novembre 1993 ma si è estesa anche agli oltre 6 mila mafiosi e camorristi liberati grazie ai programmi di protezione, che l’esecutore materiale è stato il governo Ciampi nel suo complesso e con particolare riferimento ai ministeri dell’interno e della giustizia e che il mandante è stato l’azionista forte di quel governo, con alcune complicità non ancora emerse. Dopo 20 anni dalla strage di Capaci e di via d’Amelio gli assassini di Paolo Borsellino sono ancora sconosciuti, quelli di Giovanni Falcone sono tutti in libertà, eccezion fatta per Giovanni Brusca, proprio grazie ai programmi di protezione figli di quella trattativa che ha rappresentato il vero tradimento della Repubblica. Nel frattempo sia i guelfi che i ghibellini tacciono su queste migliaia e migliaia di mafiosi e camorristi rimessi in libertà mentre qualche vittima designata dalla mafia, come Calogero Mannino, viene ancora una volta rinviato a giudizio dopo 2 anni passati in carcere da innocente nel mentre esecutori e mandanti restano ancora una volta coperti dalle complicità, dall’ipocrisia e dalla codardia. Quousque tandem abutere patientia nostra?
Ferrara: Appunto, quousque tandem, Pomicine? Se per trattativa si intende scambio di guerra e in guerra, strategia per vincere la battaglia contro la criminalità organizzata, lo Stato non ha fatto altro che trattare, e i trattativisti sono Scalfaro, Ciampi, ministri, premier e legislatori di tutti i partiti responsabili, capi della polizia e dei servizi e dei carabinieri, magistrati eroici come Falcone dall’oprazione Buscetta al governo del ministero della Giustizia nell’esecutivo Andreotti. Il potere esecutivo fa così, e i PM alla Ingroia balbettano una lingua che non conoscono, la storia, frammischiando il peccato di ogni potere (efficiente e utile alla società) e reati inesistenti. La sciocchezza della trattativa come fattispecie di reato, peraltro non formulata in giudizio e insussistente a rigore di logica, è invece affermata torvamente da contoprotezione Claudio Martelli, capace di passare dalla stanza di Gelli all’Excelsior alla sbarra dell’accusa con Ingroia, non senza annettersi il suo amico Enzo Scotti ( che cosa non si fa per restituirsi l’onore politico). E dal suo amico Marco Travaglio, che la coccola insieme a Martelli nel Fatto e mi ha spiegato in tv, dopo dolorose non-risposte, che Riina è stato arrestato per fare un piacere a Provenzano (bum) e Provenzano perchè era ormai molto malato ( bum bum bum), e i 3700 e qualcosa latitanti messi in carcere da politici collusi sono stati acchiappati per sbadataggine ( ma che cosa si era fumato?). Siete rimasti lei e Gasperri, Pomicine carissime, a puntare il dito su Ciampi e Violante come mandanti della trattativa. Trovatene un’altra, per carità, uscite presto fuori dal manicomio.
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