Quel peccato originale da cui non riesce a emanciparsi il Pd-Pci di Bersani

Pubblicato su “Il Foglio” il 15 settembre 2012

Chi è causa del suo mal pianga se stesso dice un vecchio adagio popolare. Pierluigi Bersani e i suoi vecchi compagni del PCI ebbero, vent’anni fa, un’idea geniale. Dopo il crollo del muro di Berlino e dell’intero comunismo internazionale invece di prendere la palla al balzo e approdare verso quel socialismo nel cui partito europeo erano riusciti ad entrare grazie a Bettino Craxi, scelsero una strada diversa, accidentata, senza identità e senza cultura in cui campeggiavano due soli termini, democratico e sinistra. Un po’ troppo generici, in verità, dopo decenni di errori al servizio di un’ideologia totalizzante e storicamente fallita. Non contenti di questo genericismo, lavorarono giorno e notte, passando anche attraverso l’orto dell’Ulivo, per approdare ad un partito nuovo di zecca in cui confluirono anche moltissimi democristiani, anch’essi in verità intenti nei boschi a raccogliere margherite, battezzandolo, con grande originalità, “partito democratico”. Questa nuova miscela tra  vecchi comunisti e vecchi democristiani, produsse un partito senza più alcuna cultura di riferimento in quanto ognuno respingeva la cultura politica dell’altro. Messi in mare aperto, la classe dirigente del vecchio PCI cominciò a sbandare tanto che, dopo aver perso le elezioni del 1994 contro un outsider come Silvio Berlusconi, accettarono il consiglio di un geniale democristiano, Nino Andreatta, e lanciarono come premier il democristiano Romano Prodi. Una volta fatta la fusione con la Margherita, garantendo i vecchi democristiani come Rosy Bindi, Enrico Letta e Dario Franceschini (a proposito ma quando si diventa vecchi politicamente?) gli ex comunisti pensarono di aver chiuso il cerchio. E fu un errore. Dimenticarono, infatti,  che dietro i dirigenti democristiani già maturi c’erano anche i giovani democristiani cresciuti sin dalla tenera età con il latte della libertà e della democrazia vera, senza vincoli ideologici ma con il culto della curiosità e della modernità. Così si trovarono d’improvviso quel Matteo Renzi, figlio di un democristiano, autorevole componente del movimento giovanile democristiano e poi segretario provinciale del partito popolare di Martinazzoli. In campo aperto i democristiani sono imbattibili. Lo furono i professorini di Dossetti e Fanfani che soppiantarono il grande Alcide de Gasperi, lo furono Forlani e De Mita (il patto di San Ginesio nel 1969) e poi i poco più che trentenni eletti nell’era zaccagniniana che rappresentarono l’ossatura principale del partito sino al 1992. Renzi ha capito più rapidamente degli altri i vincoli che impacciavano Bersani, dagli antichi rapporti con la CGIL alle pressioni di molti giovani del partito, nel nome democratici ma nei fatti  socialisti ed oltre, ed ha subito sfidato nelle primarie il segretario. Bersani, pur di dimostrare la propria democraticità, ha violato quella norma dello statuto che impone la candidatura del segretario a primo ministro di un possibile governo dopo le elezioni. Un democristiano non avrebbe mai avuto bisogno di dimostrare ogni giorno la propria democraticità perché è la storia di quel partito che la testimonia e quindi, nel caso di specie, avrebbe rispettato lo statuto. Renzi, come ogni democristiano, conosce bene la strategia e la tattica e nel suo primo discorso di Verona lo ha dimostrato.  Ad esse ha aggiunto poi quel tanto di marketing che, nella stagione della mediaticità, enfatizza anche qualche sciocchezza, peraltro voluta, a beneficio del popolo e della sua pancia. Matteo Renzi ha tutte le carte in regola per vincere la corsa ( grinta, cultura, eloquio e giovinezza) ma,  per male che vada, sarà il numero due del partito battezzato con milioni di voti da quel popolo delle primarie che ha sostituito quel popolo degli iscritti sempre più depresso e sempre più inutile. Una volta sarebbe bastato dire “ma che fa un democristiano tra i socialisti e nel popolo della sinistra”, per chiudere la questione. Oggi nessuno è più niente ( anche se il Dna non si può cancellare come dimostra Renzi)  e vincerà, quale che sia il risultato, quel democristiano cresciuto col pane della libertà e della democrazia. Chi è causa del suo mal….

Be the first to comment on "Quel peccato originale da cui non riesce a emanciparsi il Pd-Pci di Bersani"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*