Caro Monti taglia le spese militari

Pubblicato su “Il Tempo” l’11-10-2012

I provvedimenti varati ieri dal governo (la legge di stabilità che ha sostituito la vecchia legge finanziaria e già puntualmente violata lo scorso anno) presentano, come spesso accade, luci ed ombre. Le luci, ahinoi ancora molto deboli, sono un’ulteriore sforbiciata alla spesa pubblica la cui realizzazione, però, richiede un diretto concorso delle regioni e degli enti locali. Inoltre  il taglio al fondo sanitario nazionale di 1,5 miliardi sarà, neutrale rispetto all’efficienza del nostro servizio sanitario sempre quando le regioni faranno economia di scala sulla organizzazione di alcuni servizi pubblici. Un esempio per tutti. Se la chiusura di alcuni presidi ospedalieri consente, attraverso il trasferimento del relativo personale, ad altri ospedali di funzionare a pieno regime almeno 10 ore al giorno a fronte delle 6 ore attuali (riferimenti che non valgono naturalmente per i servizi di pronto soccorso e di reperibilità) avremmo un aumento della produttività e una riduzione dei costi fissi complessivi degli ospedali funzionanti. Detto questo, però, anche sul terreno dei tagli si potevano e si dovevano fare scelte diverse. Anche qui un esempio per tutti. L’Italia spende per le missioni militari all’estero 1 miliardo e 300 milioni di euro l’anno. Un paese come il nostro preso di mira dalla speculazione finanziaria internazionale sui titoli del proprio debito sovrano non può non cancellare le proprie missioni militari conseguenti agli impegni internazionali assunti. In questo modo, peraltro, ci saremmo allineati alla grande Germania che è assente in tutti i fronti militari più caldi nonostante le diverse condizioni delle sue finanze pubbliche. Qui non si tratta di recuperare teoriche posizioni pacifiste  ma, al contrario, si dovrebbe mettere sul piatto ciò che ci chiede la comunità europea sul piano finanziario e quello che ci chiede la comunità internazionale sul terreno militare. Insomma, è più serio e giusto mantenere i nostri militari in Afghanistan e tagliare la spesa per acquisti di attrezzature ospedaliere o il contrario? Un governo tecnico risponde come ha risposto ieri, un governo politico avrebbe dato alla comunità internazionale una diversa risposta. Tutto qua. Alla stessa maniera, sempre sulla “spending review”, è tempo che l’Italia non riduca la forza militare di sole 20 mila unità nel corso del prossimo triennio come ha deciso il governo Monti lo scorso anno ma di almeno 50-60 mila unità distribuendo il personale verso altre amministrazioni centrali dello Stato. Un paese come il nostro che negli ultimi 20 anni ha fatto un debito di oltre 1100 miliardi di euro (molto di più di quello che ha fatto la prima repubblica in quarant’anni ricostruendo il paese dal dopoguerra in poi) non può permettersi forze armate così numerose tanto più che sin dal 2003 la comunità europea aveva deciso la costituzione di forze armate europee con il concorso pro- quota degli Stati membri. Le ombre vere, però, sono sul terreno dello sviluppo. È saggio trasferire una parte della tassazione dalle persone alle cose ed è giusto alleggerire l’imposizione fiscale sulle famiglie più deboli. A noi, però, non sfugge quello che in altri tempi si sarebbe chiamato il gioco delle tre carte. La riduzione, infatti, di 1 punto delle aliquote del 23 % e del 27 % agisce anche sui redditi più alti che non dovrebbero essere trattati fiscalmente come i soggetti più deboli per una più equa distribuzione dei sacrifici. Poiché la ratio del governo non è stata quella di ridurre la pressione fiscale complessiva visto lo scambio tra la riduzione dell’irpef e l’aumento di un punto delle aliquote iva del 10 % e del 21 %, la ridistribuzione dei sacrifici ancora una volta non c’è stata. L’equità, infatti, avrebbe richiesto che, a parità di gettito fiscale, la riduzione delle aliquote basse avrebbe dovuto essere compensata con l’aumento di 1 o 2 punti della aliquota massima in maniera tale da evitare l’aumento di un punto dell’aliquota iva del 10 % che agisce sui consumi più necessari per le famiglie più deboli. Ancora una volta, però, è questa la differenza tra un approccio ragionieristico e un approccio politico alla grande questione fiscale del nostro paese. Ma sul terreno della crescita le ombre sono veramente lunghe perché alle notizie di oggi, e in attesa di leggere le norme nel dettaglio, non c’è alcuna misura per migliorare le nostre esportazioni e per sostenere una domanda di investimenti pubblici e privati sempre più necessari per recuperare una produttività di sistema nella politica dei fattori e nella ricerca e nell’innovazione. In attesa di dare un giudizio finale dopo una più attenta lettura non c’è che da registrare, purtroppo, la validità di ciò che da mesi andiamo dicendo e cioè che la recessione continuerà nel 2013 e che le previsioni del governo, già sbagliate all’inizio dell’anno, continuano ad essere errate perché nel corso di quest’anno il pil si ridurrà di quasi del 3 % e nel 2013, se tutto va bene, di 1 punto percentuale mentre lo stesso pareggio di bilancio sarà più il frutto di un’interpretazione ( il calcolo degli effetti del ciclo negativo) che non di un fatto. Se la politica non torna a guidare l’azione del governo, difficilmente l’Italia uscirà dal tunnel del declino e del progressivo impoverimento di larghe fasce della popolazione.

 

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