Quel salvataggio della Prelios

Pubblicato su “Il Tempo” 08-11-2012

Tutto quanto sta avvenendo sulla società Prelios già Pirelli RE, la società immobiliare del gruppo Pirelli, ha qualcosa di inverosimile. Pirelli RE da poco più di due anni si è trasformata in Prelios ed ha accumulato debiti per 550 milioni di euro nonostante che la guida fosse nelle mani autorevoli di un patto di sindacato che comprende, tra gli altri, nientepopodimeno che, Generali, Mediobanca e Banca Intesa. La Prelios è una società immobiliare piuttosto grande ma senza alcun valore strategico per il paese, in particolare se la si raffronta ad esempio all’ Alcoa che produce alluminio in un paese come il nostro importatore netto di quel metallo. Naturalmente nessuno più di noi auspica che si eviti il fallimento di una qualsiasi azienda ma nella Prelios le anomalie societarie cominciano ad essere davvero tante. Con qualche sforzo capiamo, infatti, la presenza nell’azionariato di Prelios delle Generali che investono nel settore immobiliare parte delle proprie riserve tecniche ma non riusciamo a capire la presenza di Mediobanca e di Banca Intesa, due autorevoli istituti bancari che dovrebbero poter fare altri mestieri rispetto a quello di soci di una società immobiliare ancorché figlia di un gruppo importante come quello della Pirelli. Probabilmente quella che noi dichiariamo un’anomalia (la presenza di banche nel capitale di rischio di società di ogni tipo) è molto diffusa nel sistema produttivo italiano, almeno in quella parte del sistema che ha voce autorevole sulla stampa, e sarà utile capire la dimensione di questo fenomeno e la consapevolezza che di esso ha la nostra Banca d’Italia la cui vigilanza fa tremare le vene dei polsi un po’ a tutti quando si mette in moto. Di tutto ciò speriamo di dare ai nostri lettori quanto prima notizie più precise. Ma le anomalie non sono finite. Nel piano di salvataggio messo a punto da una certa Feidos 11 controllata  per il 60 % dal notissimo Massimo Caputi  e per il 40% da ignoti, è previsto anche che una parte dei crediti degli istituti bancari e, forse, delle stesse Generali vengano trasformati in capitale di rischio. In parole povere gli azionisti bancari di Prelios aumenterebbero la propria quota di capitale nella società prendendo i quattrini dalle loro banche già pesantemente in difficoltà per erogare credito alle piccole e medie imprese produttive. Il salvataggio di una società immobiliare così indebitata come la Prelios è normale in un paese che vede fallire piccole e medie aziende un giorno sì e l’altro pure? E perché il cavaliere bianco, nel caso specifico la Feidos 11, non mette più quattrini se ha un piano industriale capace di far decollare la vecchia Pirelli RE oggi Prelios? E se questo piano ci fosse e fosse convincente perché gli autorevoli azionisti come Tronchetti Provera e Malacalza che  controllano, attraverso Camfin, la Prelios non mettono mano alla tasca ricapitalizzando la società e tuttalpiù chiedendo al sistema creditizio una ristrutturazione nel tempo del suo debito? Tutto sarebbe più lineare secondo le “best practices” di un capitalismo moderno e meno relazionale e innanzitutto le banche non sarebbero costrette a fare verso il mondo produttivo due pesi e due misure. Da molti anni vediamo sorgere come funghi scandali e scandaletti nel settore immobiliare con valutazioni iperboliche di cespiti solo per dare più credito a società in sofferenza con procedimenti “borderline” ed è per questo che siamo sconcertati per quanto sta accadendo sulla vicenda Prelios. Se i suoi maggiori azionisti non bancari non mettono proprie risorse per rilanciare la società è segno che credono poco al suo futuro nonostante l’arrivo di Massimo Caputi con tutto il suo bagaglio di vecchio gestore di Sviluppo Italia. Noi non abbiamo pregiudizi verso alcuno e anzi siamo lieti ogni qualvolta che si salva dal declino una società che dà lavoro a centinaia di persone, ma siamo indignati per il modo con cui questo salvataggio avviene, con i suoi conflitti di interesse che genera e fuori dalla volontà concreta dei suoi azionisti industriali che non volendo mettere quattrini propri li chiedono a quelle banche che li lesinano, nel frattempo, a tante altre aziende produttrici che competono sui mercati internazionali. Il tutto sotto lo sguardo distratto delle autorità di vigilanza a cominciare dalla Banca d’Italia.

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