La legge elettorale fotografa la politica, ma non può sostituire i partiti

Articolo pubblicato su “Il Foglio” il 15-11-2012

Al Direttore-La infinita tela di Penelope sulla legge elettorale rischia di scivolare verso una tragica farsa che non evoca né il sorriso né il pianto ma solo una rassegnazione disperata del paese. Eppure i capi dei partiti che trattano, Alfano, Casini e Bersani, per la loro pluridecennale esperienza politica e parlamentare sanno leggere “di greco e di latino”. Quali sono, allora, le chiavi che si sono perdute per costruire una legge che è il fondamento della vita democratica e che deve valere per oggi e per il futuro? La prima chiave che si è perduta è il concetto che una legge elettorale altro non è che una macchina fotografica che rileva le opzioni politiche di un paese. Se il paesaggio fotografato è un disastro la colpa non è della macchina fotografica. Se si vuole trovare un rimedio per rendere gradevole il paesaggio bisogna incidere su di esso, e cioè sulla politica e non manipolare la macchina fotografica. Fuor di metafora, è in errore chi, in nome della governabilità, vuole scaricare sulle spalle della legge elettorale  quell’onere che dovrebbe essere collocato sulle spalle della politica. Se così non fosse, allora ad ogni legislatura rischieremmo di dover cambiare la legge elettorale. La frantumazione, guarda caso, è da vent’anni figlia dello sfarinamento dei partiti, soggetti senza più cultura e senza memoria storica e segnati con nomi che forse starebbero meglio in un parco di divertimenti. Qualche esempio. Perché la sinistra italiana non riunisce i vari spezzoni di partiti e partitini in quel partito socialista europeo di cui larga parte dei suoi protagonisti già ne fanno parte? Se ciò avvenisse avremmo un partito di massa con una cultura politica di stampo europeo che partirebbe dal 35 % dei voti potendo arrivare fin sotto il 40 %. E continuando, perché il partito di Casini, da 10 anni fermo al 5,5 % – 6,5% non attiva quell’offensiva di persuasione verso quel variegato mondo democratico cristiano con il quale condivide la propria cultura di riferimento (Casini è addirittura il presidente dell’internazionale democristiana) e che sono sparsi un po’ di qua e un po’ di là? Ed, infine, perché il gruppo dirigente del Pdl continua ad immaginare che un’alleanza di centro-destra diventi un unico partito che mette insieme culture socialiste, democristiane e dichiaratamente di destra tutte riunite, con un  altro equivoco di fondo, nel partito popolare europeo? Tutto questo è avvenuto nel recente passato perché era tenuto insieme dal carisma di Silvio Berlusconi che fece una lista per le elezioni del 2006 ma non è mai riuscito a fare un partito democratico e con una chiara cultura di riferimento. Se, insomma, la politica italiana per convenienza, per codardia o per ignoranza non si europeizza, l’Italia sarà sempre governata da altri poteri con un tecnico a palazzo Chigi. La seconda chiave perduta è il concetto per il quale una legge elettorale deve essere coerente con il sistema istituzionale che il paese si è dato. Se abbiamo una democrazia parlamentare, le maggioranze si fanno e si disfano in parlamento come avviene in Germania, in Austria, in Belgio, in Spagna, in Olanda, in Gran Bretagna e finanche in Israele e vanno guidate dal segretario del partito di maggioranza relativa. E se questa maggioranza non fosse possibile farla si torna alle elezioni o, come si è fatto più volte in Germania e nella stessa Italia, per un tempo determinato si fa una grande coalizione. Chi vuole che la scelta del governo sia messa, invece, nelle mani dei cittadini al momento del voto, deve sostenere un sistema presidenziale come quello francese o americano. Senza queste due chiavi concettuali si scivola nella tragica farsa di queste settimane. Certo, la legge elettorale può dare una mano a contrastare la frantumazione in corso da vent’anni, ma la fotografia del paesaggio può essere ritoccata con la soglia di sbarramento, non certamente modificata con una nuova legge fascista che dà 60-80 deputati in più rispetto ai voti raccolti  con un premio di maggioranza che non esiste in nessun paese dell’occidente. Ci piacerebbe che questi concetti, semplici ma forti, fossero inseriti in un messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica lasciando da parte quella quotidiana pressione sul Parlamento che, nata con le migliori intenzioni, finisce per diventare, come ha detto il vice-presidente del senato Emma Bonino, una sorta di stalking istituzionale. Un’ultima considerazione. In un momento in cui il distacco tra la società e le istituzioni repubblicane è così grande, la saggezza vorrebbe che almeno il 50-60 % dei deputati venisse eletto con le preferenze.

Be the first to comment on "La legge elettorale fotografa la politica, ma non può sostituire i partiti"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*