pubblicato su ” Il Tempo” il 20-11-2012
La democrazia non è un optional nella vita politica di un grande paese come l’Italia. Molti lo dimenticano e, purtroppo, a dimenticarlo per primo sembra proprio il nostro presidente del consiglio. Nella giornata di domenica, infatti, Monti ha dichiarato che non poteva garantire il futuro dell’Italia dopo il voto di primavera quasi a sottolineare che senza la sua guida il paese è perduto. La supponenza e l’arroganza non sono buone consigliere e uno statista di razza non usa quel linguaggio ma auspica, al contrario, che l’Italia possa essere guidata da una maggioranza politico-parlamentare coesa riconfermando nel contempo la propria disponibilità a servire il paese in qualsiasi ruolo, anche quello di semplice senatore a vita. E’ davvero giunto il tempo che ogni cosa in questo paese torni al suo posto. In una democrazia parlamentare il presidente incaricato non può che essere il candidato premier della coalizione o del partito che alle elezioni avrà preso più voti. Se le urne non gli dovessero dare la maggioranza assoluta dei voti, quel candidato deve cercare la maggioranza possibile nel parlamento della Repubblica. Sono queste, non altre, la prassi e la lettera della nostra costituzione. Se Monti ritiene di voler continuare la propria esperienza alla guida del governo si candidi con il sostegno di una coalizione. Se vince sarà lui il premier, se perde servirà l’Italia in altra maniera come si conviene ad ogni politico di qualità ed in particolare ad un senatore a vita. Il nostro, lo confessiamo, è un nervo scoperto perché da tempo avvertiamo che nel paese soffia un vento autoritario generato dalla inadeguatezza delle forze politiche, dall’eccessiva intraprendenza delle massime autorità istituzionali e da una confusione che regna sovrana alimentata com’è da un genericismo pasticcione e velleitario. Noi apprezziamo sempre il tentativo di quanti decidono di servire il paese scendendo, come si suol dire, in politica mettendoci la faccia. L’assemblea tenuta sabato da un gruppo di associazioni e di sindacalisti con il discorso inaugurale di Luca Cordero di Montezemolo e chiusa con l’intervento del ministro Riccardi può essere una “cosa buona e giusta”. Lo sarà se quell’assemblea prenderà la forma di un partito che si candida, presentandosi alle elezioni con una propria lista, a governare insieme ad altri il paese e se fa emergere con chiarezza qual è la cultura europea di riferimento che la innerva. Un grande paese non può essere governato, infatti, da una lista civica che storicamente è l’anticamera dell’autoritarismo. E’ stato detto, forse un po’ precipitosamente, che quell’assemblea sembrava l’embrione di una nuova democrazia cristiana. Non scherziamo. La DC è stato il più grande partito della storia unitaria del paese e aveva dietro di sé e con sé una grande cultura di riferimento che affondava le proprie radici nel cattolicesimo politico così come si è incarnato in Italia e in Europa. In quell’assemblea di Montezemolo e Riccardi ci sono, è vero, associazioni e movimenti cattolici ma una cosa sono i cattolici in quanto tali con il proprio slancio sociale e una cosa è il pensiero politico di un grande partito di massa come la DC che ha nel suo pantheon Sturzo e De Gasperi, Maritain e Mounier, Toniolo, Murri e Rosmini, Moro, Fanfani e Dossetti, Adenauer e Shumann, tanto per citarne solo alcuni, e che ha ricostruito il paese dopo le macerie della guerra, l’Europa comunitaria e ha difeso con la vita di tanti suoi dirigenti le libertà personali e collettive connesse all’economia di mercato. Detto ciò saremmo lieti se quell’assemblea, con i tempi e la maturazione necessaria, si potesse ricondurre nella grande cultura democristiana i cui partiti governano larga parte degli Stati membri della comunità europea, e in particolare quelli del centro Europa. Attenti, però. Se quell’assemblea non diventa partito, diventerà inevitabilmente solo una tribuna di tifosi di Mario Monti. Una tribuna rispettabile, naturalmente, ma pur sempre di tifosi. E lo stesso discorso vale per il nostro amato presidente Monti. Tutti i leader europei si riconoscono in una delle quattro grandi culture politiche del vecchio continente, quella socialista, quella cristiano-democratica, quella liberale e quella ambientalista. Una quinta cultura professorale non c’è. N’è in Italia né in Europa. Dopo vent’anni non è più possibile riproporre al paese un nuovo salvatore della patria o uomini della provvidenza o uomini che tutto il mondo ci invidia. Ne abbiamo visti tanti in questi quattro lustri e l’Italia ha subito danni gravissimi da questa visione anti politica che è l’altra faccia della protesta grillina forse ancora più autoritaria perché i suoi punti di riferimento sono fuori dal paese e affondano le proprie radici nei circuiti finanziari internazionali. L’Italia ha bisogno di una guida tutta politica come avviene in Francia, in Germania, in Spagna, in Gran Bretagna e in tutti gli stati Europei. Se tutti gli amici riuniti intorno a Montezemolo e Riccardi si riscoprissero democratici-cristiani toccheremmo, naturalmente, il cielo con un dito ma qualunque sarà la loro scelta politico-culturale sarà la benvenuta se si incardinerà in un partito ed in una lista alle prossime elezioni. Altrimenti avranno tutti sprecato un sabato pomeriggio dimenticando che i tifosi, in genere, allo stadio ci vanno di domenica.
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