Bene l’abolizione dell’Imu, ma adesso Letta aggredisca il debito pubblico

Pubblicato su ” Il Foglio” il 4 settembre 2013
Gli ultimi provvedimenti del governo sulla cancellazione dell’Imu sostituita dalla nascita di una nuova tassa, la “Service Tax” a partire dal 2014 rappresentano, sul terreno politico, una scelta di buon senso. Una scelta, peraltro, capace di svuotare in un colpo solo quel pallone che si era pericolosamente gonfiato di tensioni, spesso strumentali, e che rischiava di travolgere governo, maggioranza e Paese. Il profilo politico di questo governo e dei suoi protagonisti costituito innanzitutto da pazienza, tolleranza e buonsenso ha, dunque, fatto premio confermando, così, un nostro pregiudizio positivo che abbiamo dato sull’esecutivo Letta sin dall’inizio. Se questo è vero sul terreno politico, su quello fiscale e finanziario non tutte le ombre, però, sono state diradate. Non solo perché, ad esempio, manca la copertura per la soppressione della seconda rata dell’Imu del 2013 ma innanzitutto perché non è stata ancora messa a punto la struttura fiscale della Service Tax. Niente di drammatico ma il tempo corre veloce e con i venti che spirano sull’intera politica italiana sarebbe saggio definire al più presto questi profili strutturali della nuova tassa. Gli obiettivi che essa deve porsi sono sostanzialmente due. Il primo è che il gettito fiscale della Service Tax sia nettamente inferiore di quello garantito oggi dalle imposte riunite nella nuova tassa ( Imu, Tares, Irpef). Se così non fosse non sfugge a nessuno che avremmo solo cambiato nome ad un carico fiscale che resterebbe tale su famiglie e imprese e che da tutti è ritenuto non più sopportabile. Il secondo obiettivo è che nel profilo strutturale della nuova imposta vi sia quella equità distributiva del carico fiscale in buona parte assente nell’Imu. Questo obiettivo di equità deve andare di pari passo nel non gravare in maniera eccessiva sugli immobili strumentali alle attività produttive, a cominciare da quelle agricole, perché lì c’è il cuore della speranza nuova per un’Italia che da 18 anni non cresce più. Sappiamo che questo è un compito non facile, ma sappiamo anche che è l’unico modo per non far saltare una Santa Barbara sotto il tavolo del miglior governo possibile che il Paese può darsi stante il suo attuale slabbrato sistema politico ed istituzionale. Quanto detto sinora è la dimostrazione lampante che il sistema Italia è di una fragilità impressionante per lo stock del debito pubblico ( 1200miliardi di euro negli ultimi 20 anni durante i quali il Paese si è per giunta impoverito), per la mancanza dal 1995 di una crescita in linea con quella dell’eurozona e per la caduta della competitività del nostro sistema produttivo che ha fatto perdere, in volumi, oltre 2 punti di quota del mercato mondiale rispetto al 1991. Tanto per dirla in breve, maggioranza e governo non possono continuare a vivere cercando un giorno sì e l’altro pure 500milioni o un miliardo di euro per tappare emergenze sociali ( esodati, cassa integrazione), buchi improvvisi di bilancio e altro ancora con l’ansia permanente che i mercati possano farci spendere di più elevando i tassi di interesse sul nostro debito pubblico. Vivere in questo modo appanna la lucidità di tutti, a cominciare dal governo e dalla maggioranza, e lascia il Paese in balìa dell’avventurismo degli opposti estremismi ( mai come ora va recuperata questa antica espressione). Se Letta, Berlusconi ed Epifani vogliono evitare questo avventurismo nell’interesse dell’Italia e dei propri partiti devono, allora, mettere in agenda questi tre nodi: 1) aggressione al debito pubblico con operazioni di finanza straordinaria; 2) riduzione significativa e progressiva del cuneo fiscale sul costo del lavoro; 3) assoluta sburocratizzazione per l’avvio e il consolidamento di ogni attività produttiva. Questi tre obiettivi sono prioritari perché si possa poi metter mano a investire risorse nell’innovazione e nella formazione del capitale umano, alla politica dei fattori produttivi, alla riduzione della pressione fiscale su imprese e famiglie e a quelle riforme istituzionali che per essere realizzate richiedono un clima di maggiore serenità sul piano politico e su quello finanziario. Mai come questa volta, insomma, si può dire che salutiamo con un sorriso bene augurante la rondine della soppressione dell’Imu sapendo che essa non annuncia la certezza di una primavera che manca, purtroppo, dall’Italia da almeno due decenni.

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