C’è una strada per privatizzare senza svendere

Articolo pubblicato su ” LIBERO ” il 07-04-2010 con lo pseudonimo di Geronimo
L’estromissione di un italiano dal Board della super borsa London Stock Exchange ha aperto gli occhi a tutti, anche a chi li ha tenuti chiusi per 20 anni. Dopo la crisi politica del ’92-’93, la classe dirigente, quella nuova e quella sopravvissuta, fu prima intimidita e poi sedotta da un vento che si definiva liberista ma che con il liberismo c’entrava molto poco. Era, piuttosto un vento di rapina, che postulava privatizzazioni ad ogni costo. Crollata l’ideologia comunista, ne era infatti nata un’altra, quella del mercato che teorizzò la supremazia del privato in ogni settore. Accanto ad indubbie situazioni di grande inefficienza ( vedi Efim) l’industria pubblica italiana così come quella privata aveva livelli di qualità che spesso la ponevano ai primi posti del mondo. Dalle telecomunicazioni, ed in particolare nella telefonia mobile, alla chimica, dall’Eni all’Enel per finire all’aerospazio l’industria pubblica aveva management e massa critica di risorse investite nella ricerca tali da trasferire a tutto il mercato domestico innovazione tecnologica di alta qualità.
Le banche migliori
La stessa cosa avveniva per il sistema bancario tanto che oggi è stato quello che più ha resistito alla crisi. Le privatizzazioni andavano naturalmente fatte ma internazionalizzando il nostro sistema finanziario ed industriale e non vendendolo senza alcuna visione strategica. La politica, però, era scomparsa e così quel vento presentato come una modernizzazione divenne un vento di rapina e di colonizzazione. Francesi, Tedeschi, Spagnoli, Inglesi e Americani sciamarono su di un’Italia il cui salotto buono del capitalismo era totalmente inadeguato mentre era scomparsa quella visione politica necessaria per inserire il nostro capitalismo nel riassetto più generale di quell’europeo attraverso una saggia e negoziata reciprocità. Fare l’elenco dei settori svenduti o semi-svenduti sarebbe lungo ( alimentare, farmaceutico, grande distribuzione, energia, telefonia, il 70% di Eni ed Enel e via di questo passo) e l’assenza di reciprocità è stato sempre il filo conduttore della nostra politica economica. Quel lungo periodo di subalternità culturale ed economica sembra stia per finire tanto che proprio in queste settimane sul caso della London Stock Exchange c’è stato un risveglio da un ventennale letargo. Autorevoli opinionisti, infatti, si sono accorti che altri pezzi dell’economia italiana sono stati venduti o stanno per esserlo e si sono indignati.
Alitalia e Telecom
Dall’Alitalia destinata ad essere francese, alla Telecom anch’essa destinata ad essere spagnola, posto che l’unico socio industriale è Telefonica mentre gli italiani sono solo soci finanziari. Queste due aziende seguirebbero la vendita fatta nel 2007 della borsa italiana agli inglesi della London Stock Exchange senza neanche un patto di sindacato e senza che i nostri azionisti ( le grandi banche) parlassero una lingua sola. E sempre in questi anni fu impedito ad Unipol di scalare Bnl che fu poi data a quattro lire ai francesi. Noi difendemmo Unipol molto più della sinistra italiana intimidita ed impaurita dai grandi mass-media ma nessuno ci ha mai spiegato perché abbiamo dovuto regalare ai francesi la Bnl. Misteri della seconda Repubblica. Siamo insomma diventati un Paese di cui ognuno si vende un pezzo per proprio conto. L’esempio dell’Enel di Tatò che dopo la privatizzazione di Telecom e della Tim costituisce un’altra azienda pubblica di telefonia mobile, la Wind, per venderla poi agli egiziani di Orascom ha qualcosa di incredibile degna di un Paese di “mandarini” nel silenzio complice della politica. Ed è infatti la politica che non ha fatto mai sentire la propria voce. O per incapacità o per interessi inconfessabili. L’indignazione oggi è sacrosanta se serve però a cambiare strada perché quella sin qui seguita non modernizza il paese ma lo rende, come dicemmo diversi anni fa, solo una colonia di rango trasformata in un mercato di consumatori e di produttori per conto terzi.

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