articolo pubblicato il 16 dicembre 2014 su Il Foglio Quotidiano
Una lunga stagione buia sta dissolvendo valori, amori, sogni e speranze per centinaia di milioni di cittadini. L’Italia da tempo sta perdendo progressivamente il suo livello di benessere conquistato in decenni di sudori e fatiche e l’autorevolezza delle sue istituzioni. Da quasi venti anni il Paese non cresce. Anzi in questo arco di tempo ha raggiunto un doppio inverecondo risultato, quello di aumentare il debito pubblico del 150% rispetto al 1991 e impoverire contestualmente ceto medio e masse popolari. Corollario a questa povertà crescente c’è una ricchezza enormemente aumentata nello stesso periodo quasi a testimoniare che povertà di massa e ricchezza elitaria siano due facce di una stessa sciagurata politica economica. Ma non è tutto! Nell’ultimo ventennio l’intero paese non è stato manutenuto con un decadimento dell’assetto idrogeologico e di alcuni servizi fondamentali quali i trasporti pubblici, il pianeta giustizia, la infrastrutturazione materiale ed immateriale del territorio, la scuola e tutti i fattori della produzione con una spaventosa perdita di competitività dell’intero sistema produttivo. Le cause sono molteplici ma due campeggiano su tutte. La prima è la crisi dei partiti. Una crisi di cultura e di democrazia riempita da un presunto e sciatto modernismo che ha trovato nel liderismo e nel partito personale la sua più tragica versione con la conseguente selezione cortigiana della classe dirigente. Eppure la storia ci ha insegnato che quando vince la cortigianeria vince la mediocrità. La seconda causa della crisi economica che ci affligge da quattro lustri è l’assenza di una visione generale dinanzi ai due grandi fenomeni esplosi all’inizio degli anni novanta, la globalizzazione e la finanziarizzazzione dell’economia internazionale. Molti cari amici negli anni settanta ed ottanta hanno perso la vita per difendere il valore non solo economico dell’economia di mercato mentre negli ultimi venti anni molti silenzi complici hanno lasciato crescere l’egemonia di un capitalismo finanziario che di quella economia di mercato è solo un figlio degenere che ne sta distruggendo la forza propulsiva nel diffondere benessere e serenità. Un esempio per spiegarci meglio. Quando l’impiego finanziario del capitale ha un rendimento tassato meno del rendimento del capitale impiegato nell’industria e nei servizi è naturale che la grande liquidità dei mercati si riversa nell’impiego finanziario togliendo l’aria ed il respiro alla produzione di beni e servizi la cui diffusione è la fonte del benessere popolare. E di qui, a cascata, la crisi della economia reale con il suo tragico bagaglio di disoccupazione e di povertà. Ecco in pillole le due cause fondamentali della crisi. Una democrazia politica non vive a lungo se i suoi protagonisti diventano decadenti e, parafrasando un vecchio detto, i partiti ancora oggi sono i peggiori protagonisti della vita politica ma nessuno ne ha inventato altri migliori. Anzi, qualcuno pensa addirittura che abolendoli o, comunque, eliminando le due qualità vitali per un partito, e cioè una cultura di riferimento ed organi collegiali democraticamente eletti, la vita politica migliori. Sciagurati. Anche su questo terreno la storia è maestra di vita. La riduzione dei partiti a fantasmi inconcludenti apre le porte a vecchi e nuovi autoritarismi alimentati, tra l’altro, da utopie assemblearistiche che insieme alle vocazioni lideristiche sono la morsa che uccide lentamente la democrazia politica. La dimostrazione è tutta nella nuova legge elettorale, quell’italicum che farebbe arrossire finanche il vecchio onorevole Acerbo estensore di quella legge elettorale fascista che porta il suo nome. Infatti nella vecchia legge fascista che premiava il partito che superava il 25% assegnandogli i due terzi dei deputati aveva almeno nel fondo un ricordo democratico perché se nessuna delle liste raggiungeva la soglia del 25% l’assegnazione dei seggi parlamentari sarebbe avvenuta con metodo proporzionale. Nell’italicum, invece, se la realtà non è come la si vuole, peggio per la realtà nel senso che se nessuno raggiunge la soglia del 40% si va al ballottaggio tra i primi due partiti con la certezza che chi dovesse vincere l’ultima sfida rappresenterà si e no un terzo del paese. Noi speriamo sino alla fine che l’attuale parlamento ridotto al silenzio dai liderismi di turno e dai loro patti abbiano un sussulto di democrazia sostanziale e non approvino questa legge come fecero con la legge Acerbo, De Gasperi, tanti popolari e i socialisti nel lontano 1923. E questo appello, lo facciamo innanzitutto ai democristiani ovunque essi oggi militano perché la cultura democratica del cattolicesimo politico è stato un faro di civiltà in tutto l’arco del novecento. Approvare quel tipo di legge, inoltre, aprirà nel paese un conflitto nella società italiana che può avere approdi imprevedibili. Le coincidenze con quel tempo, non a caso, sono tante e prima fra tutte la presenza di una sola Camera, quella dei deputati, perché il Senato non era elettivo ma di nomina regia ed aveva funzioni diverse. Manca solo il Re ma il nostro invito pressante va anche al nostro Re repubblicano, come spesso Napolitano è stato definito per il lavoro di supplenza svolto in questi anni in soccorso ad una politica sgangherata. Non metta, Presidente, la sua firma sotto quella legge sciagurata e se ha deciso di dimettersi lo faccia un minuto prima per evitare che nella Storia venga ricordato come colui che mise fine alla democrazia parlamentare senza far nascere una democrazia presidenziale. Ed infine l’Europa, il sogno di pochi divenuto la speranza di tanti che sta perdendo smalto e credibilità per le forme che strada facendo ha preso e per la percezione che parti crescenti delle popolazioni degli Stati membri stanno avendo delle sue istituzioni. Quel sogno va rilanciato con forza e con coraggio percorrendo le due strade prima descritte. Un maggiore peso nel governo dell’Europa al parlamento di Strasburgo ed una riforma dei mercati finanziari e una politica fiscale uniforme che premino entrambi l’uso produttivo del capitale sconfiggendo le forze di un capitalismo finanziario stolto ed incosciente che porterà tutti verso il baratro. Se batterà quelle strade l’Europa tornerà ad essere per il mondo intero un modello virtuoso e non più un continente vecchio pieno di egoismi e privo di lucidità.
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