La politica recuperi 20 anni di distrazione

articolo pubblicato su Il Mattino il 18 settembre 2015

È vero che le parole sono pietre ma la disputa linguistica appartiene ai letterati non ai politici anche se, in questo caso, è giusto ricordare quel che diceva il Carducci nell’indimenticabile “Davanti San Guido” e cioè che “la favella toscana che è sì sciocca nel manzonismo degli stenterelli”. E la Bindi è toscana. Le sue parole vanno perciò depurate dagli errori concettuali su quanto ha detto a proposito di Napoli e della Campania. Andando alla sostanza, non possiamo non registrare, come peraltro abbiamo sempre fatto, un’amara verità. Napoli è una città che affascina per le sue bellezze naturali, per il suo patrimonio culturale e monumentale, e per quella innata vocazione poetica di un popolo che ha dato al mondo ricchezze culturali di ogni tipo a cominciare, naturalmente, dalla canzone napoletana per finire a Giambattista Vico passando per la pittura del ‘600, per Eduardo e Totò e tantissime altre eccellenze in tutti i settori. Non si ama, però, Napoli se non si riconosce che nella storia della città c’è stato sempre quel filone camorristico che ha permeato largamente la  vita del popolo minuto come dimostrò l’inchiesta Saredo del 1901. Quel filone è stato nei secoli spesso anche al servizio del potere di turno, e non solo di quello politico, così come è stato pesantemente  combattuto nella storia dello Stato unitario ed in particolare nella prima parte della vita repubblicana. Non riconoscere che la vita di questa splendida città è stata seguita, accompagnata e vilipesa dalla camorra significa non amare Napoli. La città, con le sue migliori espressioni, non ha mai sottaciuto e men che meno negato questa verità. Detto questo, il terreno in cui la criminalità organizzata vive e si alimenta è quello della grande povertà, del miserabile urbanesimo  di quartieri fatiscenti che producono emarginazione, piccola criminalità e protagonismi deteriori  in un orizzonte spesso senza speranza e di una massiccia evasione scolastica che manda al macero interi pezzi di giovani generazioni. La stagione dei grandi partiti popolari mise un freno alla diffusività di questa malapianta perchè i partiti avevano l’esigenza di controllare essi i territori e non lasciarli al dominio della violenza camorristica. Certo, vi sono stati anche episodi di contiguità in quella stagione ma le iniziative della magistratura inquirente in questa direzione, spesso anche improvvide, hanno dimostrato che i collusi si contavano su qualche dito di una sola mano. Con la scomparsa dei partiti, che erano i naturali avversari della criminalità nel governo dei territori, la camorra non solo ha dilagato diffondendosi dovunque ma ha anche cambiato pelle. In questi venti anni ha fatto un salto di qualità entrando con la forza del denaro nell’economia reale lasciando alla manovalanza la trincea periferica del pizzo , delle estorsioni e di altre violenze di quartiere. Purtroppo è anche entrata nelle istituzioni locali, e non solo. Mentre ieri un sindaco aveva dietro le spalle un intero partito con deputati, senatori e un’intera classe dirigente, oggi i primi cittadini sono soli nella battaglia contro quella piovra che spesso ha introdotto nelle istituzioni locali propri aderenti attraverso liste senza cultura e senza democrazia e che usurpano il nome di lista civica. Al di fuori di ogni polemica, la Bindi questo voleva dire e non ha avuto poi il coraggio di confessare che l’aveva detto male. In questi  venti anni, inoltre, la degenerazione del personalismo politico ha fatto proseliti e spesso i protagonisti hanno adottato un metodo ed un comportamento poco assonante con la vita democratica della vera politica. La continua enfasi sulla società civile e la criminalizzazione dell’idea di partito e di ogni cultura politica ha favorito sempre più l’opacità della vita pubblica napoletana. Cosa fare? Riscoprire l’indignazione, chiedere alla società civile di contrastare nel privato qualunque tentazione avanzata da una piovra che sa anche vestirsi da Prada e reclamare con forza dai partiti la riscoperta delle culture politiche e della democrazia al proprio interno perchè la collegialità non solo è cosa saggia  ma evita anche tentazioni e perdizioni. Ad un giornalista che gli chiedeva cosa avrebbe  fatto se avesse avuto da solo tutti i poteri, Giulio Andreotti rispose seraficamente “qualche errore in più”. In pillole è questa la lezione democratica che la dirigenza politica dovrebbe finalmente rilanciare dopo la sbornia lideristica per dare a Napoli quel che chiese Giovanni Paolo II  a piazza del Plebiscito alla politica del tempo; “organizzare la speranza” . Noi ci mettemmo subito all’opera progettando “NeoNapoli” con il contributo di una parte rilevante della intellettualità napoletana. Ed è ancora questo il terreno dove si può vincere una battaglia antica dopo venti anni di distrazioni.

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